L'ultimo suicidio politico di Jeremy Il «rosso» che ha affossato il Labour

Socialista, ambientalista sempre «contro»: il leader di sinistra finisce nel mirino dei suoi: «Questa volta ha superato se stesso»

di Luciano Gulli

P er tutta la sua vita politica, ha raccontato una volta al Guardian un vecchio commesso della Camera dei Comuni, Jeremy Corbyn è stato un «backbencher», un puntolino barbuto perso laggiù, nelle ultime file del Labour. «Stava lì, sullo sfondo. E quello, a ben vedere, era il posto più appropriato per lui. Purtroppo, il rischio di sparire anche dallo sfondo si fa ora dannatamente concreto non solo per lui, ma anche per molti di noi». «Jeremy è sempre stato un po' scervellato, ma stavolta ha superato se stesso». Questo dicono sottovoce, trincerandosi dietro un cauto anonimato, alcuni tra i quattro gatti rimasti in Parlamento a reggere la gloriosa ma un po' sbrindellata bandiera del Labour.

Ci mancava solo l'entusiastico appoggio di Jeremy «il Rosso» alla decisione di Theresa May di indire elezioni anticipate, per colmare la misura. E per vedere il panico dipinto sul volto di molti dei suoi compagni di partito che temono (eufemismo) di veder svaporare il proprio seggio in Parlamento. Il vecchio Jeremy è sempre stato un po' stravagante, in effetti. Ma questa sua festosa adesione al progetto della May (che è quello di seppellire il Labour, approfittando di uno dei suoi momenti di crisi peggiore da quando esiste) somiglia a una sorta di cupio dissolvi, una dissennata voluttà suicida.

John Woodcock, per esempio. Accanito avversario di Corbyn, Woodcock ha annunciato che farà campagna elettorale per la sua rielezione ma non chiederà il voto per Corbyn premier accusandolo di non avere un chiaro manifesto politico e di essere la causa del tracollo laburista nei sondaggi. Così, più di un deputato del partito che fu di Tony Blair dichiarava ieri la sua intenzione di astenersi o addirittura votare contro la mozione ai Comuni per le elezioni anticipate.

Il partito annega, sia pure con impeccabile understatement. E flebili si levano le voci di quanti ancora credono che la carta vincente si giocherà su temi come economia, scuole, ospedali, qualità della vita e lavoro. In una riunione del gruppo parlamentare è stata affrontata anche la delicata questione della scelta dei candidati, poiché giravano voci secondo le quali Corbyn si opponeva all'automatica conferma degli attuali eletti. I funzionari del partito però hanno spiegato che, visti i tempi stretti, sarebbe quasi impossibile coinvolgere gli iscritti nella scelta dei candidati. «Abbiamo detto con chiarezza che tutti i deputati in carica verranno automaticamente selezionati, abbiamo discusso su come coinvolgere in qualche modo gli iscritti ma i tempi stretti lo rendono impossibile», ha spiegato una fonte al Guardian facendo spallucce.

Un po' Grillo e un po' Bertinotti. Jeremy Corbyn, 67 anni, è il tipico rappresentante di quella sinistra glamour - la passione giovanile per Che Guevara temperata negli anni dal morbido tepore del cachemire - incapace di attrarre consensi tra i giovani parlando il linguaggio della modernità. Corbyn è sempre stato «contro». Non c'è stata marcia pacifista, contro l'inquinamento o l'apartheid, in cui non lo si vedesse in prima fila. E visto che era «contro», non poteva non essere a favore dei palestinesi di Hamas o degli sciiti libanesi di Hezbollah. Margaret Thatcher («una disgrazia per il Paese» disse di lei una volta) era la sua bestia nera.

Vegetariano, astemio, ambientalista, Jeremy è figlio di un ingegnere e di una insegnante di matematica, entrambi pacifisti, che si erano conosciuti sulle barricate in Spagna, ai tempi della guerra civile. Lui ne ha raccolto il testimone, in un certo senso. Quando si separò dalla seconda delle sue tre mogli, si disse che una delle ragioni stava nel fatto che lei voleva mandare uno dei figli alla scuola privata, mentre lui, strenuo difensore del «pubblico», si era strenuamente opposto.

Nel suo quartiere di Islington se lo ricordano in bici, con una maglietta che recava stampata la faccia di un Obama bianco, barbuto e attempato. Per lui, la fine di Osama Bin Laden fu «una tragedia». «Proprio come quella che si abbatterà sul partito», geme un anziano deputato del Labour lasciando in serata l'aula dei Comuni.

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