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L'unico quid di Alfano: conservare la sua poltrona

È maestro nel riciclarsi per cadere in piedi. E ora ha avviato le manovre per restare al Viminale

L'unico quid di Alfano: conservare la sua poltrona

È tutta questione di quid. Quello che Silvio Berlusconi riteneva non avesse il suo delfino Angelino Alfano e quello che invece il ministro dell'Interno sembra capace di tirare fuori quando serve davvero. Soprattutto se c'è in ballo la sua poltrona. Allora sì che aguzza l'ingegno e stupisce chi un tempo aveva ironizzato sulla famosa battuta fatta dal Cavaliere a Bruxelles che, seppur smentita, lo perseguita dal marzo del 2012, quando in pieno governo Monti, con Forza Italia dilaniata da chi voleva sostenere l'esecutivo tecnico e chi no, Alfano era stato etichettato dall'ex premier come «uno senza quid» («Alfano ha seguito, ma è uno senza quid»). Da allora, nonostante Berlusconi abbia sempre negato di averlo definito così, ribadendo che alle primarie del Pdl lo avrebbe sostenuto, Angelino è per tutti un segretario senza quid.

Ma poi, visto come sono andate le cose finora e come si stanno mettendo in questi giorni di crisi di governo, viene da chiedersi se sia davvero così. Veramente Alfano questo fantomatico quid non ce l'ha? Perché da come si muove nei momenti topici, quando è necessario prendere decisioni strategiche, sembrerebbe tutt'altro. Prendiamo quello che sta accadendo adesso, per esempio. I rumors nei palazzi di governo segnalano uno strano attivismo di Alfano. Per nulla rassegnato, pare, a rinunciare al suo ufficio al Viminale. Starebbe brigando, eccome, il ministro dell'Interno, per rimanere in sella, sempre al Viminale, dove ormai è di casa, anche nel prossimo governo. Pure se ancora non ci sono certezze sul prossimo premier - anche se il nome più gettonato resta decisamente quello di Paolo Gentiloni - lui si sta già muovendo, lavora ai fianchi chi sa, trama come solo lui è capace di fare, incontra chi deve. E aspetta fiducioso di portare a casa qualcosa.

D'altronde il passato insegna. E il Nuovo Centrodestra è noto per essere un partito con più poltrone che voti. Poi lui, il leader, passa per uno che nella sua veloce ascesa politica è stato capace di riciclarsi più di una volta, dai tempi del suo sodalizio con Berlusconi a quelli della rottura con il suo padre putativo è sempre caduto in piedi. E ora è uno dei pochi ministri che rischia di rimanere al suo posto qualsiasi cosa accada.

Quanta acqua è passata sotto i ponti da quando uno sconosciuto Alfano, all'epoca considerato da tutti il pupillo di Berlusconi, diventa ministro della Giustizia e nel 2011, dopo l'addio di Fini, segretario del Pdl, proiettato in un'inaspettata ascesa politica che il Guardasigilli impara presto a gestire con disinvoltura. Quando nel novembre del 2011 Berlusconi si dimette e arriva il governo Monti, il delfino si lancia nell'avventura delle primarie del Pdl, contando sull'iniziale appoggio del Cavaliere. Le primarie non si faranno mai perché Berlusconi nel frattempo aveva annunciato la sua candidatura a premier. Carriera finita? Niente affatto. Il maestro di giravolte trova il modo di uscirne anche questa volta senza mollare la poltrona, rompe con Berlusconi, appoggia il governo Letta e diventa ministro dell'Interno e vicepremier. L'arrivo di Renzi, che dei voti Ncd ha bisogno, non lo scalfisce più di tanto. Alfano non è più vicepresidente del Consiglio, ma rimane al Viminale. Dove farà di tutto per restare anche nel prossimo governo.

Le grandi manovre sono già cominciate.

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