Un carosello di dichiarazioni. Complotto. Vendetta. Cospirazione. I grillini sono in trincea e per difendere la sindaca di Torino Chiara Appendino, azzoppata da un avviso di garanzia, evocano scenari torbidi. «Siamo sotto attacco - tuona su tutti Luigi Di Maio, candidato premier pentastellato - Il Movimento è sotto attacco. In questo momento stanno provando ad accerchiarci da tutti i lati».
Riflessi pavloviani, reazioni scomposte in stile Prima repubblica, catenaccio forsennato basato su tutto fuorché sui fatti contestati: la falsificazione del bilancio comunale 2016. I grillini stanno alla larga dalle cifre nel mirino della magistratura e puntano, invece, il dito contro tutto e tutti: i giornali, i partiti la vecchia nomenklatura. Siamo insomma dalle parti della giustizia a orologeria e così il nuovo che avanza copia in carta carbone risposte e giustificazioni già sentite infinite volte in un passato che sembrava remoto e invece è ancora presente.
Peccato che le cose non stiano come raccontano i leader 5 stelle e che questa storia non sia maturata in qualche riunione segreta e non sia il frutto avvelenato di una strategia diabolica. No, la vicenda del debito da 5 milioni targato Westinghouse è nata e si è sviluppata in consiglio comunale, fra fragorose polemiche e interminabili duelli verbali. Niente di misterioso, nessuna riunione carbonara fra congiurati e alla fine l'intervento, obbligato, della legislatura che si è vista recapitare non uno ma ben due esposti sul tema. Ora, dopo l'interrogatorio di martedì pomeriggio, dopo quelle tre ore di faccia a faccia con il procuratore aggiunto Marco Gianoglio, Appendino si dice «serena», offre ai cronisti un sorriso radioso e aggiunge: «Siamo qui per chiarire, non abbiamo niente da nascondere».
Ma nemmeno il notaio Alberto Morano, a capo di una lista civica, e il capogruppo del Pd Stefano Lo Russo giocavano a carte coperte quando, fra un dibattito e l'altro, a Palazzo Civico intimavano l'altolà alla giunta grillina, al sindaco e al suo capo di gabinetto Paolo Giordana che volevano liberarsi con una certa disinvoltura di quella zavorra: un fardello che avrebbe compromesso il pareggio di bilancio e avrebbe aperto le porte alla Corte dei conti.
«Ricordo perfettamente le tappe di quella querelle trasformata in tormentone - spiega Morano al Giornale - sollevammo il tema ala metà di novembre, poi a dicembre e ancora nelle settimane successive. Quattro, cinque, sei volte. Ci sono le date, le trascrizioni degli interventi e sono rimasti nella mia testa i sorrisetti ironici di Giordana davanti alle nostre osservazioni». Sulla stessa lunghezza d'onda Lo Russo: «Ricordo distintamente interventi di dileggio e a sfottere sulle obiezioni che stavamo facendo in consiglio da parte del capo di gabinetto Paolo Giordana. E poi ricordo le mancate risposte dell'assessore Sergio Rolando».
Oggi il sindaco, il capo di gabinetto e l'assessore al bilancio sono indagati per falso ideologico in atto pubblico. E questo sulla base di due denunce: la prima firmata in tandem da Morano e Lo Russo, la seconda presentata dai revisori cui erano state nascoste alcune lettere. Ma l'obiettivo del pareggio di bilancio, anche con una certa dose di ingenua temerarietà, doveva essere raggiunto a tutti i costi.
Oggi Appendino invoca il principio di competenza finanziaria potenziata e in sostanza dice che la contabilizzazione del debito sarebbe avvenuta al momento della restituzione, prevista nel 2018, ma allora raccontava un'altra storia. «Il 19 dicembre 2016 - conclude Morano - il sindaco ribadì che il debito non era dovuto». A maggio partiva il primo esposto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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