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Governisti, filoleghisti, ribelli: Di Maio adesso è accerchiato

Governisti, giallorossi, filo-leghisti e dissidenti. Il M5s non sarà un partito, ma sembra sempre di più la casa delle correnti

Governisti, filoleghisti, ribelli: Di Maio adesso è accerchiato

“Adesso le cose devono essere chiare, il capo politico è lui, quindi non rompete i c… perché sennò ci rimettiamo tutti”. Beppe Grillo blinda ancora una volta Luigi Di Maio come capo politico del M5S dopo che il voto sulla piattaforma Rousseau ha sconfessato la sua linea politica.

Una sconfitta che, secondo i detrattori, non deve aver provocato molti dispiaceri al ministro degli Esteri che, dopo la caduta del governo gialloverde, ha subìto la nascita di quello giallorosso. Che Di Maio preferisse Matteo Salvini a Nicola Zingaretti non è un mistero, ma ora il suo problema è che Grillo, nella sua incursione romana, ha blindato anche l’alleanza con i democratici. Di fatto, ora che c’è da decidere se correre alle Regionali da soli oppure in coalizione col Pd, i cosiddetti ‘rompic...’ potrebbero moltiplicarsi e danneggiare sia la leadership di Di Maio sia il M5S stesso.

I governisti

Se fino a non poco tempo fa Di Maio poteva contare su una cerchia di fedelissimi disposta a seguirlo in tutte le sue avventure governative, ora anche chi siede nel Consiglio dei ministri inizia a prendere le distanze dal capo politico. Se il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora su Facebook si era pubblicamente espresso a favore della ‘pausa elettorale’ in Emilia-Romagna e in Calabria, oggi il Guardasigilli Alfonso Bonafede, intervistato dal Fatto quotidiano, dice: “Non siamo un partito, e non dobbiamo puntare a diventarlo. Però è chiaro che dobbiamo ripensare tutto, compreso il fatto se dobbiamo avere o meno un capo. Ma non è un problema di persone, e di certo non lo è Di Maio”. Non sarà un problema di persone, ma è indubbio che certe frasi confermano il sospetto che tra Di Maio e l’ormai ex fedelissimo non scorra più buon sangue. Anche il ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, secondo una recente ricostruzione de La Stampa (poi smentita dagli interessati), sarebbero scettici sulla linea politica tracciata e anche loro temono che Di Maio desideri tornare alle urne. Anche il fedelissimo Stefano Buffagni, viceministro allo Sviluppo Economico, ammette: “Il momento di debolezza del M5S è conclamato, ma è più profondo di quello che attiene la scelta di non candidare esponenti nelle regioni che andranno al voto, e richiede un momento di discussione come quella che avremo a marzo”.

Le correnti del M5S

I giallorossi della Camera

Chi, invece, spinge non solo per il proseguo del Conte-bis ma anche per la nascita di un’alleanza organica col Pd è l’ala degli ‘ortodossi’ guidata dal presidente della Camera Roberto Fico e dei suoi fedelissimi presidenti di Commissione Luigi Gallo (Cultura), Giuseppe Brescia (Affari Costituzionali) e Carla Ruocco (Finanze). Sempre sul versante giallorosso è molto attivo il deputato Giorgio Trizzino che si è fatto promotore di un documento in cui, in sintesi, si chiede a Di Maio di scegliere tra il governo e la guida del MoVimento. Alla luce delle recenti dichiarazioni di Grillo sembra che una simile richiesta non sarà esaudita (almeno non in tempi brevi), ma la linea tracciata non cambia: si va avanti col Pd. Senza dubbio a livello nazionale, mentre per le Regionali si prevede che i grillini si scanneranno o demanderanno la scelta, ancora una volta, alla piattaforma Rousseau.

I frondisti del Senato

Restando sempre a Palazzo Madama l’opposizione a Di Maio porta il nome di Emanuele Dessì, assurto alle cronache nazionali nel 2018 per una foto con il mafioso di Ostia Domenico Spada e perché s’era scoperto che viveva in una casa popolare pagando soltanto 7 euro al mese. Ebbene, Dessì, a fine settembre, si era già fatto promotore di un documento firmato da una 70ina di senatori che chiedevano anch’essi una drastica riduzione dei poteri del capo politico. E oggi la sua posizione non è cambiata e, pur apprezzando la svolta giallorossa, non le manda a dire:“Continuo a voler bene a Grillo, come ho sempre fatto. Soprattutto perché a rompere i coglioni me lo ha insegnato lui, e gli insegnamenti di un padre non si mettono mai da parte", puntualizza. Gli altri giallorossi rimasti nel M5S sono rappresentati da Matteo Mantero e Virginia La Mura. Paola Nugnes, invece, ha aderito a LeU mentre Gregorio De Falco ed Elena Fattori sono finiti nel gruppo misto. Secondo Nicola Morra, presidente della Commissione Antimafia, il voto di Rousseau “dimostra che l'uomo solo al comando scoppia”. Infine, la vicepresidente di Palazzo Madama Paola Taverna, ha commentato:“Ho votato sì e lo rivendico. Ma rivendico anche la necessità di dire: Houston abbiamo un problema!

I contrari all’alleanza col Pd

Tra i contrari all’alleanza col Pd, anche se non possono dirlo apertamente come vorrebbero, ci sono indubbiamente Luigi Di Maio e Davide Casaleggio. Il primo, essendo capo politico e ministro degli Esteri, è tenuto ovviamente al silenzio, ma l’insofferenza per l’alleanza col Pd è ogni giorno sempre più palpabile. Anche Davide Casaleggio, finora, ha cercato di mantenere un ruolo piuttosto ‘super partes’ anche se non è sfuggito a nessuno quanto fosse stato diretto e inequivocabile il quesito relativo alla votazione per il Conte-bis, quasi come se il figlio del co-fondatore del M5S volesse far fallire l’operazione.

Alessandro Di Battista, invece, non ha mai nascosto la sua avversione nei confronti dell’idea di fare un governo insieme a Matteo Renzi e Maria Elena Boschi e, pur di non sporcarsi le mani, è partito per l’Iran. Medesima contrarietà si è registrata nei senatori Michele Giarrusso, Massimo Bugani, Elio Lannutti e Gianluigi Paragone anche se quest’ultimo di recente sembra essersi riavvicinato un po’ a Di Maio. Giarrusso, che aveva fatto il gesto delle manette ai dem dopo che era uscita la notizia che i genitori di Renzi erano finiti ai domiciliari, in questi giorni aveva espresso una posizione molto critica: "Abbiamo anteposto, a un'identità fatta di battaglie concrete, post-ideologiche, un'occupazione di ministeri e poltrone". Bugani, socio di Rousseau e consigliere comunale a Bologna, in agosto si era dimesso da vicecapo della sua segreteria particolare a Palazzo Chigi ed è andato a fare il capostaff di Virginia Raggi. Sempre nello stesso mese era stato molto critico verso l’alleanza con i dem e su Facebook aveva scritto: "Il Partito democratico vuole fare un governo per via della paura e non con il coraggio. Lo vuole fare per paura che Salvini governi da solo, per paura di andare tutti a casa e per paura di pentirsi di non averlo fatto". In questi ultimi giorni si è detto piuttosto pessimista in vista delle elezioni Regionali in Emilia-Romagna e ha affermato:"Io vedo una lotta spietata per i posti di comando, per guidare la nave. Ma intanto imbarchiamo acqua. Quindi prima di tutto bisognerebbe chiudere le falle, per poter continuare a navigare". Gli ex ministri Giulia Grillo e Danilo Toninelli, pur non essendo degli agitatori di popolo, invece, sono stati danneggiati dalla nascita del Conte-bis e provano una certa insofferenza.

I territoriali

Il primo dissidente che in questa legislatura è stato additato come dissidente per motivazioni legate a problemi relativi al suo territorio è stato il senatore Alberto Airola, noto per le sue posizioni No Tav. Oggi, dopo la ‘sfuriata’ di Grillo su Facebook scrive: "Ok 'non rompiamo le scatole', lavorerò a testa bassa come ho sempre fatto, in silenzio. Vi va bene così?". Non si sono del tutto placati gli animi dell’ex ministro del Sud Barbara Lezzi che si è vendicata dell’esclusione dalla compagine governativa ingaggiando una lotta sull’Ilva con il premier Giuseppe Conte per quanto concerne lo ‘scudo penale’ che favorirebbe gli indiani di Arcelormittal. Il deputato Paolo Parentela, si è dimesso dal ruolo di coordinatore del M5S calabrese in dissenso con Di Maio che avrebbe preferito non partecipare alle Regionali, mentre la collega Daila Nesci nelle ultime settimane è finita nell’occhio del ciclone per aver espresso la sua volontà di candidarsi alla guida della Regione nonostante il suo mandato sia ancora in corso. La vicepresidente della Camera, l’emiliana Maria Edera Spadoni, da giorni chiede di“non cedere a quello che suona come un ricatto del Pd” e di correre in solitaria. Dal Lazio, infine, arriva il commento di Roberta Lombardi, capogruppo del M5S in Regione che non ha mai nascosto il suo feeling con Nicola Zingaretti, e che all'Adnkronos ha commentato: "A me l'ha insegnato Grillo a rompere i coglioni". ​"I temi che Beppe rimette come centrali nell'agenda politica, e mi dispiace per chi si trovava a suo agio con la Lega, portano tutti verso un'unica direzione. Visto che purtroppo non avremo mai il 51% da soli".

Insomma, da destra a sinistra, da Nord a Sud passando per il Centro, il M5S è dilaniato da lotte intestine fratricide.

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