Non sono pochi gli amici italiani della Cina, anche se qualcuno, come i dirigenti del Pd fa lo smemorato. E pure la doppia visita in 24 ore di Beppe Grillo all'ambasciatore cinese non è una novità. Nel 2013 il fondatore del Movimento 5 stelle, si era recato in compagnia di Gianroberto Casaleggio a baciare la pantofola all'allora ambasciatore cinese Ding Wei.
I membri del governo italiano negli ultimi tempi sono più in Cina che negli Stati Uniti. L'ultimo è il ministro con la delega per la Ricerca, Lorenzo Fioramonti, da ieri mattina a Pechino. L'esponente grillino deve inaugurare la settimana Cina-Italia della Scienza della Tecnologia e dell'Innovazione 2019 con il suo omologo locale Wang Zhigang. Fioramonti, come ministro dell'Università e dell'Istruzione, sembra non pensare agli studenti di Hong Kong che si battono per la democrazia con archi e frecce, mentre stringe la mano ai dignitari di Pechino.
Il politico più prono al potere cinese è il titolare della Farnesina, Luigi Di Maio, che a marzo ha firmato, come ministro dello Sviluppo economico, il contestato memorandum Italia-Cina sulla nuova Via della Seta durante la visita in pompa magna nel nostro paese del presidente Xi Jinping. Il leader M5s, dopo avere visitato la Cina durante il governo Conte 1 è tornato a Shangai da titolare della Farnesina il 4 novembre per la seconda edizione del China International Import Expo, il gran bazar dell'importazione cinese. Illuminanti le parole del ministro degli Esteri cinese, che lo ha accolto: «Lei ministro Di Maio è un nostro buon amico. Un politico giovane molto in gamba con una grande visione strategica». E Di Maio ha risposto come se Pechino fosse il nostro principale alleato al posto di Washington: «Guardiamo alla Cina come un Paese che deve essere sempre più partner dell'Italia per lo sviluppo. L'adesione alla Via della Seta ha segnato un rafforzamento delle nostre relazioni». E senza neppure far finta di dire una parola sugli studenti di Hong Kong ha annunciato la prossima tappa della lunga marcia di avvicinamento alla Cina: «Il 2020, quando celebreremo il 50° anniversario delle nostre relazioni». Ieri su Repubblica è arrivata a Di Maio la stoccata di Joshua Wong, uno degli storici leader pro democrazia ad Hong Kong: «L'Italia deve stare attenta a non dipendere dagli interessi economici cinesi. () la Cina è nota per non rispettare le regole ed è tristemente nota per le violazioni dei diritti umani». L'opposizione si è scatenata da Fdi, che mercoledì chiederà lumi al governo in Parlamento, Fi e Lega.
Il vero tessitore dietro le quinte dei rapporti con la Cina è l'ambasciatore Ettore Sequi. Diplomatico di lungo corso con esperienza da prima linea in Afghanistan è stato per quattro anni a Pechino. Da settembre, con il nuovo governo Conte, è capo di gabinetto del ministro Di Maio alla Farnesina. Prima ancora aveva ricoperto lo stesso ruolo con Federica Mogherini e il suo successore Paolo Gentiloni, fino alla nomina in Cina nel 2015.
Sequi è il vero trait d'union, fra governi diversi, con Pechino. Grazie all'allora ambasciatore il colosso cinese CCCC si è avvicinato al porto di Trieste fin dalla visita dell'ex presidente del Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani, figura di spicco del Pd. Nel dicembre 2017 Serracchiani dichiarava convinta: «Le tappe della visita () hanno avuto al centro il tema dell'intera piattaforma logistica del Friuli Venezia Giulia () anche in relazione agli importanti impegni che i nostri due governi hanno raggiunto sul progetto della nuova Via della Seta».
E sempre nel 2017 Sequi aveva gestito il grande colpo dell'arrivo del premier Gentiloni in Cina al Forum «One Belt, One Road», il maxi progetto della nuova Via della Seta. Il presidente Xi è visibilmente soddisfatto e fa spuntare pure un tenore che intona «O sole mio».
Le basi del memorandum con l'Italia firmato dal governo Conte 1 erano state chiaramente tracciate dal Pd, ma quando arriva la firma Serracchiani prende le distanze. E il neo segretario, Luca Zingaretti, sostiene che nell'intesa con la Cina «uno degli errori del governo italiano è stato quello di essersi mosso «senza concertazione, o dialogo con altri paesi europei e anche in parte con gli Usa e di avere cercato una fuga in avanti». Giravolte da non credere, ma è Prodi a scendere in campo in difesa del memorandum Italia-Cina. Il 15 marzo dichiara: «Mi sembra che l'Italia debba svegliarsi e prendere la parte dei traffici verso Est. E non parlo solo di Cina».
Assieme ai grillini uno dei politici più attivi nell'aprire le porte ai cinesi è stato l'ex sottosegretario in quota Lega dello Sviluppo economico, Michele Geraci, soprannominato «China man».
Geraci è il fondatore della Task force Cina, che si proponeva «di potenziare i rapporti bilaterali». Non solo: prima di arrivare al governo «China man» scrisse sul blog di Grillo che dalla «Cina possiamo imparare qualcosa» anche sul tema «della sicurezza pubblica», si spera non in stile Tienanmen.
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