Pullover, camicia e barba incolta. Il nuovo Luigi Di Maio, dopo giorni di silenzio, è tornato a dettare la sua linea. Autonomista, né di destra né di sinistra, anticasta e giustizialista. All'insegna di alcune bandiere tradizionali della storia del M5s. In un momento in cui l'identità grillina appare sbiadita dalle fatiche del governo e dalle spinte «a sinistra» del premier Giuseppe Conte e del Garante Beppe Grillo, il capo politico ha provato ancora una volta a tracciare un solco tra il Movimento e tutti gli altri partiti tradizionali. «Gli anni 20 sono gli anni in cui il M5s deve essere determinante per le politiche pubbliche - ha detto nel videomessaggio di inizio anno - una sorta di restaurazione 2.0 è dietro l'angolo se il Movimento non resta al governo. Per farlo dobbiamo restare compatti, uniti». Restare al potere, quindi, per non perdere la carica di rottura che ha da sempre contraddistinto i Cinque Stelle. Un paradosso, forse un equilibrismo per evitare che il giocattolo si rompa in mille pezzi.
Il rischio di implosione, ora, è alto come non mai. Ieri sera è stata ufficializzata l'espulsione del senatore Gianluigi Paragone. La decisione del collegio dei probiviri, nell'aria da tempo, è stata motivata, tra le altre cose, con il voto contrario alla legge di bilancio. Hanno pesato anche le critiche quotidiane nei confronti dei vertici e del capo politico Di Maio. Ora, dopo lo strappo di Fioramonti, si teme addirittura una scissione «a destra», con Paragone che potrebbe catalizzare il dissenso di tutti quelli che non hanno mai accettato l'alleanza con il Pd. La paura è quella di un esodo verso l'opposizione. A sinistra, invece, Il gruppo di Lorenzo Fioramonti alla Camera è praticamente cosa fatta. La formazione, per il momento solo parlamentare ma con ben altre ambizioni, dovrebbe chiamarsi Eco. Le iniziali di ecologia ed economia. E dovrebbe essere formata, inizialmente, da quindici deputati in uscita dal M5s. «Ad oggi crediamo che non usciranno più di 15», dice sollevato chi ha deciso di restare. «Il problema, piuttosto, è capire dove voglia andare a parare Fioramonti», la chiosa di un deputato.
Senza nominare mai l'ex titolare del Miur, Di Maio ha lanciato una bordata agli scissionisti: «C'è qualcuno che sale sul treno del M5s e poi cambia, è successo, non so se succederà in futuro. In passato è successo che qualcuno entrava con la casacca del Movimento e poi andava nel gruppo Misto dicendo che nel M5s c'è un problema di verticismo, alcuni sono quelli che venivano a chiedermi una carica, non la ottenevano e poi se ne andavano nel Misto». Il capo politico è passato poi alla querelle sulle restituzioni: «Non è vero che solo il 12% è in regola». Poi la minaccia ai morosi: «Io chiedo ai giornali di dare la stessa evidenza quando verranno date le sanzioni a chi non ha rispettato la regola». E gira già la voce che chi sarà deferito ai probiviri possa essere tentato dalle sirene di Fioramonti.
Il resto è un elenco delle cose fatte. Con una sottolineatura sulle bandiere del M5s. Dalla legge sulla prescrizione, al carcere per gli evasori, fino al taglio dei parlamentari e alla promessa delle revoca delle concessioni ai Benetton («Perdono dei profitti ed è giusto, perché non hanno fatto quanto dovuto per mantenere il ponte di Genova»).
Infine spazio a una stoccata a Salvini: «Non citerò né madonne o Dio, lo lasciamo fare a chi sta in difficoltà, a chi ha davvero bisogno, noi non abbiamo bisogno di slogan o frasi fatte, o di invocare l'aiuto di Dio per fare carriera politica».
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