Quello sul Mes è un «delirio collettivo», dice il premier Giuseppe Conte da Arezzo spazientendosi non poco. La specificazione, il distinguo, arriva solo dopo: «Tra l'altro questo delirio collettivo è stato suscitato dal leader dell'opposizione». Ovvero Matteo Salvini. Meglio chiarire, dato il clima che si respira all'interno del M5s. È però lampante che, secondo Conte, tra i deliranti c'è anche Luigi Di Maio. Capo politico grillino, che aveva scelto l'ex professore di Diritto dell'Università di Firenze prima come ipotetico ministro della Pubblica Amministrazione, per poi spingerlo a Palazzo Chigi in qualità di garante del contratto gialloverde tra la Lega e i pentastellati. Era il giugno 2018. E in questo anno e mezzo di cose ne sono cambiate parecchie. Innanzitutto è cambiato Conte. Non più avvocato del popolo italiano nel «governo del cambiamento» insieme al Carroccio, ma lesto dominus dell'operazione giallorossa con il Pd. Al petto la medaglia di fustigatore pubblico, nell'aula del Senato, del Capitano Salvini.
Sono mutati gli equilibri tra Conte e Di Maio. Perché il premier è stato in grado di svincolarsi dal controllo del Movimento. Ha saputo costruirsi una rete tra i burocrati di Palazzo, buone consuetudini con il Quirinale, persino un'altra corrente all'interno del M5s. Il capo politico, invece, si barcamena da mesi per rafforzare la sua leadership tra i 5s. Vita grama. Tra i rimbrotti di Beppe Grillo, le fughe di Alessandro Di Battista, le ambizioni di Roberto Fico. Senza dimenticare le imboscate di Conte, appunto. Nel periodo immediatamente successivo alla formazione del nuovo governo con i dem, il presidente del Consiglio era il più amato dai grillini. Coccolato da Grillo e dalla maggioranza dei parlamentari. A smontare i sogni del nuovo leader sono arrivati i dubbi sul suo operato con i servizi americani, le ombre sul conflitto di interesse per la questione Fiber 4.0, il tonfo in Umbria che ha stroncato sul nascere l'ipotesi di un'alleanza organica con Zingaretti. Di Maio sta tentando di inserirsi nella breccia lasciata aperta da queste difficoltà, in una partita tutta interna. C'è l'Ilva, su cui il capo politico ha tenuto il punto, sbaragliando le mediazioni apparecchiate da Palazzo Chigi e da alcuni dei ministri del Movimento come Stefano Patuanelli. Martedì è scoppiata la polemica sul Mes, il cosiddetto Fondo salva Stati europeo. L'ex vicepremier non intende fare passi indietro. In un'intervista al Corriere della Sera ha parlato di una «riforma del Mes che stritola l'Italia». Sempre ieri dal Blog delle Stelle è arrivato un altro siluro. Smentendo alcuni retroscena pubblicati da Repubblica e La Stampa, il M5s ha scritto «Non vogliamo che il Mes diventi l'Fmi d'Europa». Nel post i grillini hanno però precisato che Di Maio non ha alcuna intenzione di far cadere il Conte-bis.
Resta un fatto: la divergenza di linea politica tra il premier e il leader M5s. Con Di Maio che sta continuando a rincorrere Conte in un congresso senza fine. La posta in gioco è la leadership dei Cinque Stelle e la candidatura a presidente del Consiglio e frontman della campagna elettorale quando ci sarà il voto.
Grillo, per ora, osserva i battibecchi. Tirato per la giacchetta da «fichiani» e «contiani», che si aspettano un suo intervento deciso. «Come ha fatto quando Luigi non voleva fare il governo con il Pd», dice un parlamentare.
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