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Maledizione Brexit: cresce la fronda Tory contro Cameron

Uno dei finanziatori della campagna elettorale del premier britannico: fuori dall'Ue per il bene dell'economia

Maledizione Brexit: cresce la fronda Tory contro Cameron

La lotta di David Cameron per evitare l'uscita del suo Paese dall'Unione Europea sarà lunga e incerta. Ancora due giorni fa il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha ricordato a Cameron che il referendum sulla permanenza nell'Ue fissato per il 23 giugno «è un problema che si è imposto da solo», e che in caso di vittoria dei «secessionisti» non ci sarà spazio per nuovi negoziati tra Londra e Bruxelles. Facile immaginarsi un premier in ansia, consapevole di come ancora una volta, come già in occasione del referendum sull'indipendenza della Scozia, il suo destino politico sia nelle mani dell'elettorato. C'è un problema in più: il fronte europeista guidato da Cameron perde pezzi. Non solo Boris Johnson, il sindaco di Londra che ha deciso di prendere una posizione favorevole alla «Brexit» osteggiata da quello che teoricamente è il leader del suo partito, ma anche un numero crescente di esponenti conservatori scelgono di rivoltarsi contro il premier. Bruxelles, sostengono, non fa per il Regno Unito. E quindi non fa per loro.

Ultimo esempio di questa fronda è uno dei Lord più vicini al ministro delle Finanze George Osborne, Simon Wolfson, che è tra l'altro amministratore delegato di «Next», multinazionale dell'abbigliamento. Il fatto che Wolfson sia un finanziatore del partito conservatore e della campagna elettorale di David Cameron, e che sia stato proprio il premier a nominarlo Lord nel 2010, non gli impedisce in questo caso di assumere una posizione critica molto esplicita sui temi europei. Ritengo, ha scritto ieri Wolfson in un commento pubblicato dal Times, che l'economia britannica starebbe certamente meglio fuori dall'Europa. Un'Europa che strangola l'iniziativa e limita le potenzialità di investimenti con una burocrazia ottusa e soffocante, con l'effetto osservato negli ultimi 25 anni di ridurre la crescita dell'economia nazionale. Wolfson lamenta poi che il continuo porre l'accento sui vantaggi del libero commercio all'interno dell'Unione fa dimenticare gli ostacoli al commercio con il resto del mondo: la Gran Bretagna, sostiene, non è più libera di competere in un mercato globalizzato strangolata com'è dal proprio stesso pessimismo.

Insomma, un'impietosa analisi negativa seguita da un altrettanto impietoso (soprattutto nei confronti dell'illustre destinatario) invito a trarne le conseguenze: fuori Londra dall'Europa.

Negli ultimi giorni, la fronda interna ai Tories sul tema della Brexit ha conosciuto un netto incremento. Il messaggio a Cameron, suggerisce il Times, è diretto: il premier non potrà rimanere al suo posto se i britannici voteranno per l'uscita dall'Ue. Così Lord Tebbit, ex presidente del partito, accusa il numero uno di «stupidità» per aver detto (adesso) che la Brexit sarebbe un balzo nel buio. Il ministro del Lavoro Iain Duncan Smith accusa il campo anti-Brexit (quindi implicitamente il premier) di usare per i propri fini bassi trucchi e minacce che potrebbero avvelenare l'atmosfera tra i conservatori.

Come se non lo fosse già abbastanza, con Boris Johnson che rincara la dose affermando che votare per restare nell'Ue sarebbe «come gettare un rospo nel tegame dell'acqua bollente».

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