Bologna Il dolore incolmabile per la morte di un figlio. La rabbia di averlo visto trasformarsi in un assassino. Il rimorso di non aver capito in tempo che quel ragazzo confuso e cupo ormai era già perso.
Ci sono tutte le sfumature della sofferenza più profonda nelle parole della madre di Youssef Zaghba, uno dei tre killer del London bridge. Lei, convertendosi all'Islam, ai tempi del suo matrimonio con Mohammed, aveva preso il nome della moglie di Maometto, Khadijia. Significa «La prematura» e a 68 anni, Valeria Collina da Fagnano di Valsamoggia ha dovuto fare i conti con una tragedia che nessuna madre sembra avere le forze di sopportare. Un figlio di 22 anni che muore scegliendo di diventare un killer spietato. ValeriaKhadijia il sospetto l'ha avuto quasi subito: troppo strane alcune coincidenze.
«Di solito comunicavamo per messaggi, il 1° giugno, invece, lui mi ha chiamato», spiega lei. Una lunga telefonata, ricca di dettagli, dolci, precisi: «Mi ha spiegato della sua nuova casa, nel giardino ma nello stesso stabile, abbiamo parlato di vederci alla fine del Ramadan», racconta la donna. Poi una serie di foto sul web e quello sguardo: «Che non era più quello di mio figlio, ma diverso, perso». Youssef non abitava con lei, era rimasto a lungo in Marocco con il padre, dopo la separazione dei genitori. Studiava informatica a Fes. «Yussef era finito sotto indagine ha detto la donna ai giornalisti da parte della Digos».
Anzi, era stata lei ad andarselo a prendere al Marconi di Bologna lo scorso anno, quando, con la scusa di una visita in Emilia Romagna, il ragazzo aveva cercato di imbarcarsi su un volo per Istanbul con un biglietto di sola andata e un bagaglio «troppo leggero». Lui voleva, infatti, passare in Siria. Lei allora riuscì a convincerlo, almeno in apparenza: «Londra sembrava una nuova chance: dopo uno stage, lavorava molto come filmaker e come tecnico audio per la Eman Channel, una Tv islamica sì, ma moderata: gli avevo detto che doveva rigare dritto». E come spesso sperano le mamme, anche lei credeva che lui lo facesse. Poi quelle ore di silenzio. Il padre che conferma di non avere sue notizie, gli amici che, preoccupati, lo cercano.
Tutto inutile. Lui aveva già scelto. «Ma questo non è l'Islam: credetemi, conosco questa che è rimasta la mia religione», insiste la signora Collina che si convertì a 26 anni. «Quando i figli sbagliano i genitori si prendono le colpe, ma per Youssef avevamo fatto di tutto, controllando chi frequentava». Per Collina il male è arrivato dal web: «Da li è partito tutto» sottolinea lei che ora a Londra non intende ad andare: « Quello che ha fatto è un atto orribile, di terrorismo. Non ci può essere perdono per questo. Non posso chiedere perdono io per mio figlio». E allora quel senso di colpa per lei si trasforma in un progetto, quasi una missione: «Vorrei poter fare qualcosa perché questo non accada più ad altri figli, ad altre mamme».
Collina vorrebbe iscriversi all'università, per studiare antropologia delle religioni provare a dare un contributo nel nome del dialogo: lei che da cattolica si è convertita all'Islam ma resta musulmana anche ora che il matrimonio è finito, quel viaggio lo ha compiuto davvero. Andata e ritorno. Senza odio.
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