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Marche, la farsa delle casette Nessuno sa come montarle

La gestione Consip crea disastri. Intralci burocratici e mancanza di operai: i moduli restano un'incompiuta

Marche, la farsa delle casette Nessuno sa come montarle

La fallimentare gestione della ricostruzione per dare un primo alloggio alle popolazioni dell'area del cratere che ha interessato, ormai oltre un anno fa, quattro regioni del centro Italia rischia di sfociare in un contenzioso giuridico senza precedenti. Le gare d'appalto bandite e poi aggiudicate da Consip per la messa in posa delle casette Sae (Soluzioni abitative d'emergenza) hanno determinato un processo a dir poco farraginoso sia nei tempi che nelle modalità di reazione. Un evidente errore di valutazione rispetto a quella che fu la ricostruzione di L'Aquila, sia per gli edifici pubblici che privati, e questa degli 87 comuni marsicani: sostanzialmente ferma. Sono le Marche infatti le più gravemente colpite.

Vasco Errani lo sapeva bene quando vestiva i panni di commissario, e altrettanto lo sa bene Paola De Micheli che ha preso il suo posto dai primi di settembre. Eppure sembra che questa cognizione, oltre al potere straordinario di cui l'autorità commissariale è investita, non sia sufficiente a mettere la macchina in funzione. «Mancano gli operai per montare le casette. Il consorzio Stabile Arcale ci ha detto che non trova operai da mandare qui. Se oggi ce ne sono tre che lavorano per esempio a Sarnano, l'indomani vengono spostati in un altro cantiere, magari a San Cassiano». A fare il quadro completo dell'insipienza organizzativa è l'assessore alla Protezione civile e territorio Angelo Sciapichetti. «Ci sono 78 cantieri aperti tra comuni, piccoli borghi e frazioni che dovrebbero ospitare in tutto 1.555 Sae. Ne hanno consegnate, in tutta la Regione, 260 soltanto.

Nella maggioranza di questi cantieri sono stati già sforati i 60 giorni necessari, e fissati dal contratto, per la messa in posa. Sappiamo bene che dovrebbero pagare la penale le ditte che hanno vinto l'appalto ma intanto siamo noi - chiosa l'assessore -, con i nostri concittadini che stiamo pagando le conseguenze e il prezzo più alto. Non possiamo più tollerare questo ritardo». In tutto, nelle Marche, si contano 31 mila sfollati, 28.500 sono sistemati in alloggi affittati e 2.500 ancora negli hotel della costa adriatica. Ecco perché diventa facile dare credito alle voci che si rincorrono in queste ore, che parlano di appelli all'autorità giudiziaria pronti a partire, esposti alla procura della Repubblica di Roma e, non ultimo, azioni collettive per il risarcimento del danno. Il consorzio Stabile Arcale a oggi si è aggiudicato la commessa per 780 casette Sae da consegnare in sei mesi. Così è scritto nel contratto stipulato con la presidenza del Consiglio e il dipartimento della Protezione civile e che interessa fornitura, trasporto e montaggio.

Già, ma non è del tutto chiaro perché alla firma del contratto il consorzio fiorentino non si sia reso conto di quanta manovalanza necessitasse. Al contempo anche Consip, che ha assegnato gli appalti sembra non abbia valutato la capacità produttiva ed edificativa dei toscani. Chissà. A oggi però anche le famiglie che hanno potuto avere la fortuna di alloggiare in una Sae in laminato di legno con pareti di 19 centimetri di spessore non dimostrano soddisfazione: i moduli abitativi si stanno deteriorando velocemente. Peggio ancora va a quei cittadini che hanno ricevuto i moduli abitativi del consorzio Consorzio Nazionale Servizi di Bologna. Forni d'estate e ghiacciaie d'inverno.

«In pratica siamo davanti all'evoluzione dei container del 1997, poco di più. Le pareti sono fatte con fogli di lamiere e ricoperti da un pannello isolante interno. In pratica spiega l'ingegnere Filippo Sensi, direttore della Sicurezza del comune di Visso queste costruzioni sono più adeguate per realtà industriali che civili. Eppure le hanno montate e assegnate alle famiglie sfollate. Ce ne sono tra Muccia e Monte Cavallo».

E davanti a questo scenario desolante si para lo spettro dello spopolamento di quell'area dell'Appennino, resa così angusta dal terremoto di ottobre 2016, che trasforma in chimera anche la più tenace speranza di ricostruzione.

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