Lo sapeva almeno da mercoledì, quando ha ricevuto l'avviso di garanzia, di essere indagato per peculato e falso per lo scontrino-gate. Ma Marino lo ha taciuto alla giunta - nonostante fosse stato proprio lui, quando l'inchiesta era alle prime battute, a dire che nel momento in cui fosse stato indagato se ne sarebbe andato - fino a quando ieri la notizia che tutti aspettavano e che la Procura di Roma si teneva stretta, blindatissima, con il procuratore capo Giuseppe Pignatone che andava rimarcando l'indipendenza dei tempi della giustizia da quelli della politica, è finita sulla prima pagina della Repubblica . Proprio l'indomani del ritiro delle dimissioni da parte del sindaco, prima della resa finale di ieri. Solo «una coincidenza», almeno per l'ormai ex assessore alla Legalità, Alfonso Sabella - chiamato in Campidoglio da Marino dopo Mafia Capitale (i cui atti ora chiede siano desecretati dal governo) e in procinto di tornare a fare il magistrato - che dice di non aver mai creduto alla giustizia ad orologeria.
L'avvocato Enzo Musco conferma la notizia e quasi si rammarica che sia uscita in questo modo perché, dice, Marino aveva in programma di parlarne proprio oggi pubblicamente. Chissà. In realtà, al termine di una giornata convulsa, Marino parlerà, sì, ma per dire addio al Campidoglio in una conferenza stampa al vetriolo. A tutto tondo contro il Pd che, preferendo il notaio all'aula, ha «rinunciato ad agire nei confini della democrazia negando il proprio nome e il proprio dna». «In assemblea capitolina - dice l'ormai ex sindaco - avrei preso atto delle conclusioni del dibattito e avrei accettato a viso aperto un'eventuale sfiducia». Dopo aver elencato quanto fatto per Roma («lasciamo un segno profondo»), Marino si toglie più di un sassolino dalla scarpa. Attacca i consiglieri che «hanno preferito sottomettersi e dimettersi pur di evitare il confronto pubblico», fa gli auguri al commissario che verrà, ma soprattutto prende a schiaffoni il premier Matteo Renzi, con il quale dice di non aver mai avuto rapporti turbolenti, piuttosto di non averne avuto affatto nell'ultimo anno. «Chi mi ha accoltellato - è l'affondo finale - ha 26 nomi e cognomi e mi pare un unico mandante». Non lo nomina, ma il riferimento a Renzi è evidente.
La sua prima giornata da sindaco-indagato e non più dimissionario, prima della decadenza, Marino l'aveva cominciata con un blitz nello studio del suo legale, quello che due giorni fa aveva sbandierato la notizia dell'archiviazione di un'altra indagine a carico del primo cittadino, sulla ex Onlus «Imagine», mentre l'indagine in questione era tutt'altro che destinata all'archivio, come la Procura si è affrettata a far sapere con inusuale tempismo, visto che Marino è tuttora sotto inchiesta anche per truffa. Mentre in mattinata il Pd annunciava l'intenzione di smontargli la maggioranza, il chirurgo dem ostentava normalità, partecipando ad una cerimonia a Tor Vergata («non mi sento un martire ma un lottatore») e alla presentazione dei nuovi vertici dell'Auditorium. È qui che parlando dell'inchiesta sugli scontrini ha confermato di essere indagato, minimizzando la rilevanza dell'avviso di garanzia: «È un atto dovuto, serve per svolgere le indagini che possono arrivare anche all'archiviazione».
In mano Marino teneva un foglietto con qualche appunto, una sorta di elenco (scatole eleganti, due foto tes, piccolo mappamondo, scrittoio, cassetti) forse delle cose da portare via dal suo ufficio in Campidoglio. Segno che era consapevole da tempo che la sua avventura fosse finita su un binario morto.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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