Mattarella dà tempo ai partiti. ​E Di Maio resta a mani vuote

Il capo dello Stato certifica lo stallo e smonta i 5 Stelle: non c'è una maggioranza, in democrazia si fanno intese

Mattarella dà tempo ai partiti. ​E Di Maio resta a mani vuote

Nulla di fatto, a vuoto il primo giro di consultazioni. E pure il secondo, previsto per giovedì, partirà contro vento. Siamo in alto mare, «veramente lontani», dicono dal Colle, e quindi ecco che alle 17,30 Sergio Mattarella decide di fare una mossa, mostrandosi alla Loggia alla Vetrata per certificare lo stallo e mettere così pressione ai partiti. Siccome, spiega il capo dello Stato, nessuno ha vinto le elezioni, «è indispensabile che vi siano delle intese in Parlamento per far nascere un governo». Però «questa condizione non è ancora emersa», quindi appuntamento alla settimana prossima. «Farò trascorrere qualche giorno di riflessione anche sulla base della esigenza di maggior tempo che mi è stata prospettata. Sarà utile a me per analizzare ogni aspetto e sarà utile a loro per valutare responsabilmente la situazione, le convergenze programmatiche, le possibili soluzioni».

Un discorso di cinque minuti dove «ancora» è l'unica parola di speranza. Ma nel suo stile pacato e sorridente, il presidente cerca anche di spazzare un po' della nebbia propagandistica che si è diffusa negli ultimi tempi. Primo: dal 4 marzo, puntualizza, non è uscito un trionfatore. «Le elezioni che abbiamo celebrato un mese addietro hanno visto l'ampliamento del consenso in particolare di due partiti, uno dei quali è alleato con altri, ma non hanno assegnato a nessuna forza politica la maggioranza dei seggi in Parlamento, dove sono presenti tre schieramenti». Secondo: nel nostro sistema non esistono plebisciti o investiture popolari per Palazzo Chigi, come invece pensano i grillini. «Per le regole della nostra democrazia è necessario che vi siano delle intese tra più parti politiche per formare una coalizione per sostenere un governo». Coalizioni, non contratti come dice Di Maio. Terzo: le consultazioni non sono un inutile rito bizantino, ma «hanno lo scopo, in base alla Costituzione, di fare emergere» possibili accordi.

Peccato che nella due giorni di colloqui sia emerso poco o nulla se non contraddizioni. Veti, condizioni, bracci di ferro: a un mese dal voto la trattativa tra Cinque Stelle e centrodestra non decolla. C'è il problema di chi dovrebbe guidare l'esecutivo e c'è il caso B da risolvere. I grillini si sono ostinati a non negoziare con il Cavaliere e cercano di allontanarlo da Salvini, mantenendo aperti i due forni. A Mattarella, a quanto pare, Di Maio ha spiegato di voler tentare di coinvolgere il Pd. Anche Berlusconi ha sostenuto con il presidente l'opportunità di coinvolgere il Nazareno. «Sono sorpreso che si tiri indietro». La delegazione dem però ha confermato la linea Renzi: si resta fuori dai giochi, almeno per il momento. Per non parlare dei programmi. Il capo dello Stato ha ricordato a tutti gli impegni internazionali, la cornice europea e il timore per i conti pubblici. Mentre il Cav ha «abbracciato la linea» del Colle, Salvini ha attaccato Merkel e Macron e ipotizza di tornare al voto.

Posizioni distanti, incastri impossibili.

Serve pazienza, molta, e non è detto che basti. I partiti torneranno al Quirinale si spera, con uno straccio di accordo. Altrimenti Mattarella farà un'altra mossa. «Il tempo serve anche a me». Quanto a elezioni a giugno, non se ne parla nemmeno.

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