E ora servono «unità e coesione» per raggiungere «gli obbiettivi prefissati». Quest'invito di Sergio Mattarella è rivolto a Martìn Vizcarra, nuovo presidente del Perù, ma è lo stesso che tra qualche giorno formulerà ai partiti che sfileranno nello studio alla Vetrata. Anche in Italia infatti, secondo il capo dello Stato, c'è bisogno di unità e coesione, cioè di una maggioranza certa nei numeri e salda nei rapporti, per raggiungere gli obbiettivi, ossia un governo che tenga il Paese fuori dalle tempeste. L'Europa forse ci aspetta, ma i mercati?
Il problema è che finora non si sono viste né unità né coesione. Anzi, dopo un inizio incoraggiante culminato con la nomina dei presidenti delle Camere, i due pretendenti al Soglio si sono incartati in un groviglio di veti e pregiudiziali. E sarà pure soltanto una schermaglia tattica, però, visto dall'ottica del Colle, questo balletto blocca ogni possibile soluzione. Se le cose continueranno così, se non ci saranno le condizioni, Mattarella in questa prima fase non darà nessun incarico, né a Salvini né a Di Maio. Il capo dello Stato insomma non vuole conferire mandati «a perdere».
Zero a zero e palla al centro. Il probabile fallimento del primo giro di consultazioni non significa comunque che si tornerà al voto presto. Tutt'altro. La partita del governo sarà difficile, controversa, lunghissima, ma al Quirinale sono convinti che alla fine una soluzione si troverà. Servirà tempo, parecchio tempo. Si prevedono un paio di mesi di gestazione, con un secondo o anche un terzo giro di colloqui per approfondire le proposte e i programmi, forse pure un incarico esplorativo a una carica istituzionale, sperando che nel frattempo qualcuno molli o che qualcosa maturi.
Matteo Salvini, ad esempio, sta già arando nel campo delle autonomie per cercare di rafforzare la sua base di partenza. Tra i due litiganti è il più vicino alla maggioranza e il più disponibile a fare un passo di lato a favore di un personaggio «terzo», neutrale. Luigi Di Maio, che adesso sostiene il punto della sua candidatura forte degli 11 milioni di voti e che non vuole mettersi d'accordo con il Cavaliere, potrebbe, chissà, tra qualche settimana, arrendersi all'evidenza. Silvio Berlusconi non solo non è cancellabile, non solo forse tornerà presto candidabile, ma guiderà la delegazione di Forza Italia al Quirinale. Sarà quasi impossibile per Giggino scapolare il fattore B.
Ipotesi, suggestioni, contatti riservati, mentre ci si prepara a una paziente attesa. Mattarella, dicono dal Colle, adesso ascolterà i partiti e farà solo il notaio, senza mettere fretta a nessuno. Del resto non si può pretendere che dei leader nuovi di forze politiche cresciute di colpo riescano subito a nuotare nell'acqua alta dei meccanismo repubblicani. L'unica indicazione che il presidente darà, sarà il no alle elezioni anticipate: la finestra estiva è già chiusa e di andare alle urne in autunno non se ne parla nemmeno perché ci sarà la Legge di bilancio da approvare. Se però tra un paio di mesi lo scenario sarà lo stesso di oggi, il capo dello Stato potrebbe prendere un'iniziativa. Il jolly, in caso di stallo prolungato, è il governo di scopo, o del presidente. Una carta che rimarrà ancora coperta: se la tirasse fuori subito, se la farebbe bruciare.
Quello che è sicuro è che prima o poi bisogna arrivare a una soluzione. Gentiloni dimissionario non può andare avanti all'infinito, la Ue ha chiesto riforme e attenzione al debito e Mattarella ha preso sul serio l'avvertimento di Moscovici.
Entro aprile l'Italia dovrà approvare il Def e spedirlo alla Commissione: un eventuale esecutivo giallo-verde tiepido con l'Europa e amico di Putin garantirebbe il rispetto degli impegni internazionali sui quali secondo la Costituzione Mattarella deve vigilare? Certo, con Forza Italia dentro le cose possono cambiare.
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