E no. L'Europa non è solo chiacchiere e distintivo, «non è soltanto burocrazia oppressiva», ma, sostiene Sergio Mattarella «è un modello di convivenza unico, un progetto di grande valore da coltivare quotidianamente». Insomma, qualcosa da proteggere, di cui «avere cura», una piantina da annaffiare, non un tecno-nemico da attaccare per motivi di campagna elettorale. Certo si può e si deve criticare, come infatti fa con molta vivacità Matteo Renzi in questi giorni, però non si può demolire. Invece, spiega con un filo d'amarezza il presidente, «troppo spesso, nella dialettica interna e internazionale, l'Unione viene criticata, le sue regole trattate come l'esempio di una burocrazia complessa e, a volte, addirittura oppressiva, come un limite».
Il capo dello Stato parla a Gorizia, alla presenza del suo collega sloveno Borut Pahor, a un convegno sulla convivenza tra i popoli. Il suo discorso, fanno notare dal Quirinale, non va letto in chiave politica interna e soprattutto «non è contro Renzi», però cade proprio nel bel mezzo del braccio di ferro tra il premier e la Commissione ed è impossibile non notare la differenza di toni e il tentativo di ricucire i rapporti. Dopo il quattro dicembre, ci sarà il cinque. Dopo il referendum, chiunque vinca, la vita deve continuare ma dicembre è lontano e il capo dello Stato teme che, se gli ardori non si raffreddano, da qui ad allora si producano danni irreversibili. Il peggioramento dei rapporti con Berlino e Parigi non promette bene.
Da qualche giorno filtra dal Colle una certa preoccupazione per la piega che sta prendendo la discussione sulla legge di Stabilità, intrecciata poi alla questione migranti e alla dura polemica interna sul referendum. «Noi non siamo contro l'Europa», assicura Renzi, mentre Moscovici derubrica la lettera in «normale dialettica». E Mattarella, preoccupato per la tensione tra Bruxelles e Palazzo Chigi, non è il tipo che bacchetti, lanci moniti o intervenga direttamente, però un segnale di distensione, alle cancellerie che in vario modo hanno recapitato al Quirinale la loro perplessità, bisogna pur spedirlo.
Così eccolo al teatro Verdi fissare alcuni punti. Primo. «L'Ue, l'unione dei popoli europei, dei cittadini dei nostri Paesi, è un progetto di grande valore che va coltivato ogni giorno, anche per rimuoverne le imperfezioni, le contraddizioni, per migliorarlo sulla base di una critica anche severa ma costruttiva, attenta e, soprattutto, di spinte ideali all'altezza dei tempi e della storia». Secondo, l'Europa «è un luogo di superamento dei conflitti» che «ha cambiato le regole del gioco, facendo tacere le armi e parlare i popoli, facendo recedere i nazionalismi e avanzare il dialogo. Facendo sempre più scoprire i tanti aspetti che uniscono». Terzo. Basta con le «troppe critiche», basta vedere la Ue come «un limite rispetto a un passato esclusivamente nazionale che taluno vorrebbe raffigurare come una sorta di età dell'oro».
Succede in Italia, dove in Parlamento e nei salotti tv è partita la gara a chi critica di più l'Unione europea. Succede anche all'estero, con rigurgiti di nazionalismo.
«La cronaca di questi mesi è contrassegnata dalla insistenza con la quale, altrove, si continuano a mettere in discussione i valori fondanti dell'Unione e non soltanto le sue scelte, evocando velleitariamente la costruzione di nuove barriere».
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