Roma - La maggioranza si rompe, Mdp annuncia che ne esce, sbattendo la porta, e fa prontamente dimettere il viceministro all'Interno Filippo Bubbico. Alla vigilia dei primi voti del Senato sul Def, Massimo D'Alema cala a Montecitorio, assume il comando delle operazioni sulla tolda della sinistra anti-Pd e decide la rotta: fuori.
Precipita tutto nel giro di poche ore: il giorno prima il leader della sinistra, Giuliano Pisapia, sale a Palazzo Chigi e promette il sostegno al governo, sia pur in cambio di segnali di apertura sulla politica economica. Il ministro dell'Economia Padoan assicura di voler lavorare «con Pd, Ap e Mdp» alle misure per la crescita e contro la povertà, ed è il segnale che Pisapia chiedeva. Ma passano un paio d'ore e Mdp ribalta il tavolo: «Non ci sentiamo più politicamente dentro questa maggioranza, e non voteremo il Def: d'ora in poi, mani libere», declama il portavoce Roberto Speranza, che il giorno prima era stato escluso dall'incontro a Palazzo Chigi. E che ora annuncia la svolta parlamentare: oggi Mdp voterà la risoluzione di maggioranza sui conti pubblici, su cui sono necessari 161 voti al Senato. Ma subito dopo, quando si tratterà di votare la nota di aggiornamento del Def, i suoi usciranno dall'aula. Ed è solo il preludio di un voto contrario alla finanziaria, e alla fiducia che presumibilmente verrà chiesta dal governo. Nessun problema di numeri: «Porteremo comunque a casa la manovra», dicono dal governo. Ma un problema politico c'è, e non solo per l'esecutivo e il Pd: anche per Pisapia, platealmente sconfessato dagli stessi che lo avevano indicato come leader. Tant'è che subito i parlamentari che fanno capo all'ex sindaco di Milano annunciano che non seguiranno le indicazioni dalemiane: «Sono in disaccordo con le scelte di Mdp. Io sono orientato a votare a favore della nota, e con me ci sono altri 7 o 8 senatori che la pensano allo stesso modo», spiega Dario Stefàno. «Mdp sbaglia, io voterò sicuramente a favore», incalza Bruno Tabacci. Ma anche gli ex di Sel, come Ciccio Ferrara, non condividono la scelta barricadera: «Nella riunione del gruppo abbiamo votato l'uscita dall'aula sul Def come gesto critico, ma di uscita dalla maggioranza non si è neppure discusso, e certo non si è votato». Si rompe anche la sinistra, dunque: da una parte il nucleo duro degli ex Pci usciti dal Pd, capeggiato da D'Alema e con Bersani rassegnato a seguire il suo ex capo, al grido di «mai con il Pd»; dall'altra i filo-governativi di Pisapia. Del Def e della manovra, ovviamente, a Mdp importa poco o nulla: a spingerli sulle barricate è la legge elettorale. Ieri il Pd ha impresso una decisa accelerazione al Rosatellum, che è all'esame delle commissioni di Montecitorio: gli emendamenti di Mdp (che vuole il ritorno al proporzionale puro e alle preferenze) sono stati bocciati, mentre il Pd si riuniva con i partiti che appoggiano la legge, cioè Forza Italia, Lega e Ap, per ragionare su come andare avanti. È su questo, e non sui soldi ai poveri o sui ticket sanitari, che parte la reazione di Mdp, che con il Rosatellum si vede già morta: «Il Pd vota con parte dell'opposizione, spacca la maggioranza per isolare e colpire noi», tuona Alfredo D'Attorre. Di lì a poco, l'annuncio dell'uscita dalla maggioranza.
«Ma perché, sono mai stati in maggioranza? Mi date una notizia», dice ironico il capogruppo Pd Ettore Rosato. Che chiosa: «D'altronde, lì dentro c'è solo uno che decide la linea, e che già da mesi aveva chiesto la rottura con la maggioranza. Si chiama D'Alema».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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