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Meloni all'attacco: "Mes? Non è il momento. Nessun ritardo sul Pnrr. I tassi della Bce peggio dell'inflazione"

"Basta polemiche sul Mes, non è il momento di ratificarlo. L'aumento dei tassi della Bce? Può fare più danni dell'inflazione. Non c'è nessun ritardo sul Pnrr"

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«Basta polemiche sul Mes, non è il momento di ratificarlo. L'aumento dei tassi della Bce? Può fare più danni dell'inflazione. Non c'è nessun ritardo sul Pnrr».

Toni forti, stile affilato e diretto - «non mi vedrete mai paludata» - repliche a braccio, occhi puntati sugli interlocutori. Giorgia Meloni riferisce alle Camere in vista del Consiglio europeo di oggi e domani e si muove a tutto campo, sfidando le opposizioni e accendendo i riflettori sulle loro contraddizioni. «Non chiedo di non fare l'opposizione, con decisione, senza peli sulla lingua. Ma cosa diversa è chiedere il sostegno esterno contro l'Italia. Vi rendete conto di quanto sarebbe grave chiedere un intervento esterno semplicemente perché non si è grado di battere il governo facendo opposizione?».

Le parole della premier arrivano a poche ore dal nuovo rialzo dei tassi voluto da Christine Lagarde. Il ragionamento della presidente del Consiglio parte proprio dal pericolo inflazione e dalla stretta monetaria. «L'inflazione è un problema quasi dimenticato ma che è tornato a colpire le nostre economie tanto che ci ricordiamo di come sia una odiosa tassa occulta, che colpisce soprattutto i meno abbienti e chi ha un reddito fisso». È giusto «combatterla con decisione», ma «la semplicistica ricetta dell'aumento dei tassi intrapresa dalla Bce non è la strada più corretta da perseguire, considerato che l'aumento dei prezzi non è figlio di una economia che cresce troppo velocemente, ma di fattori endogeni, primo fra tutti, la crisi energetica causata dal conflitto in Ucraina». Insomma il rischio è che «la cura si riveli più dannosa della malattia». E a chi l'accusa di attaccare l'indipendenza della Bce risponde secca: «Io difendo il mio diritto a valutare le decisioni. Il ruolo della politica non è dire sì acriticamente».

Giorgia Meloni si mantiene prudente sulla ratifica del Mes, tema che andrà trattato all'interno di una strategia più ampia. «L'interesse dell'Italia oggi è affrontare il negoziato sulla nuova governance europea con un approccio a pacchetto». C'è spazio anche per una stoccata al commissario europeo Paolo Gentiloni. «Sul Pnrr non ci sono ritardi e mi fa specie che i partiti che hanno steso il Piano siano anche quelli che se la prendono con il governo. Mi fa specie che lo faccia anche il commissario Gentiloni che immagino che quel piano lo avesse letto prima». E sul sostegno all'Ucraina la presidente del Consiglio affila le armi dialettiche. «Voglio sapere se Paolo Borsellino dovesse preferire vivere piegandosi alla mafia piuttosto che fare le battaglie che ha combattuto. Non si può far finta che si vuole la pace quando in realtà non è la pace che si sta perseguendo».

Il clima in aula è di quelli delle grandi occasioni. Da una parte Mario Monti dà atto al governo - «non lo voglio dire a voce troppo alta, per non determinare reazioni che a lei non gioverebbero» di aver trascinato con sé «anche componenti della sua maggioranza tradizionalmente riluttanti alla disciplina di bilancio». Dall'altra Matteo Renzi dopo le carezze degli ultimi giorni, imbraccia la spada. «La nostra presidente ama replicare punto su punto su toni che scendono anche sul campo del dibattito dal talk show e della propaganda. Lei ha fatto due ottime scelte. Ha nominato come governatore della Banca d'Italia Panetta, farà meglio di Visco perché peggio è difficile. Però lei non può venire qui a dire che la Bce ha sbagliato tutto, perché Panetta prima era lì a Francoforte in quello che lei definiva un comitato di affaristi e usurai. La nomina di Figliuolo la condivido, ha fatto una campagna vaccinale straordinaria, peccato però che lei la definiva raggelante». Infine non mancano malumori nei gruppi parlamentari del Pd. Il motivo? L'assenza di Elly Schlein che ha fatto mancare la sua voce di fronte a Giorgia Meloni recandosi a Bruxelles per lavorare sulla campagna per le elezioni europee e ragionare sulle candidature.

Una scelta che diversi parlamentari non esitano a definire «incomprensibile».

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