La buona notizia è che l'appassionante scontro sul terzo mandato dei governatori - che ormai da mesi agita la maggioranza - avrà una soluzione in tempi piuttosto rapidi. L'emendamento presentato dalla Lega riguarda infatti il dl Elezioni che la prossima settimana sarà all'esame della commissione Affari costituzionali del Senato. E, trattandosi di un decreto, i margini per temporeggiare sono davvero risicatissimi. Al più tardi giovedì, insomma, sapremo chi ha vinto il braccio di ferro in corso tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Perché gli scenari possibili sono tre. E nessuno di questi prevede il pareggio. Il primo: la Lega fa marcia indietro e ritira l'emendamento. Il secondo: Fdi si rimangia il suo «no» senza se e senza ma e concede al Carroccio il cosiddetto «lodo-Zaia». Il terzo: si va al voto con il governo che dà parere contrario oppure si rimette alla Commissione, sconfessando di fatto la Lega e certificando in Parlamento una frattura su un tema non certo secondario. Quotatissimo il primo scenario, escluso il secondo, possibile il terzo.
La cattiva notizia, invece, è che le tensioni tra la premier e il vicepremier leghista non sembrano destinate a esaurirsi qui. Nonostante il clima che si respirava ieri pomeriggio in Consiglio dei ministri, con Salvini che ha scherzato sull'udienza di questa mattina a Palermo (dove è atteso per il processo Open Arms) e Meloni che si è concentrata soprattutto sul riprendere i ministri impegnati nella realizzazione del Piano Mattei (che si starebbero muovendo troppo a rilento). La distanza tra i due, però, resta tutta. Anzi, sembra allargarsi sempre più e su tutti i fronti. E prelude a una campagna elettorale che in vista delle Europee di giugno rischia di incendiare la maggioranza. D'altra parte, non è un caso che - intervistato ieri da La Stampa - un ministro pesante come Francesco Lollobrigida si sia spinto a paragonare gli affondi di Salvini agli «attacchi di Gianfranco Fini contro Silvio Berlusconi» che alla fine «gli sono costati la leadership della destra italiana». Insomma, è l'idea che si sono fatti in Fdi, se il leader del Carroccio continua così, rischia di perdere la Lega.
Questo, insomma, è il clima. Tanto che Luca Ciriani, ministro per i Rapporti con il Parlamento dai toni solitamente cauti, affonda il colpo. «Per Luca Zaia in Veneto sarebbe il quarto mandato. Penso che l'alternanza sia possibile, perché nessuno è eterno, neanche Zaia», dice l'esponente di Fdi. Che aggiunge: «È giusto che ci venga attribuito un peso proporzionale ai nostri voti». Insomma, Fratelli d'Italia conferma che nel 2025 pensa di candidare un suo esponente - il coordinatore regionale Luca De Carlo - alla guida del Veneto. La risposta di Zaia a Ciriani arriva a stretto giro. «L'eternità non è di questo mondo. Trovo simpatico pensare che l'unico dibattito di questo Paese sia il sottoscritto, ma io ho non ho tempo da perdere», replica il governatore.
Gli fa eco il vicesegretario della Lega, Andrea Crippa, che dopo aver spiegato che trova «incomprensibile» lo stop di Fdi alla ricandidatura di «quelli bravi», fa sapere che non «c'è alcuna logica ricattatoria» tra terzo mandato e premierato.
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