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Il memorandum sulla Libia e quelle insidie per Conte

Oramai le intese con la Libia saranno automaticamente rinnovate nella giornata di sabato 2 novembre, ma la questione è tutt'altro che superata all'interno della maggioranza

Il memorandum sulla Libia e quelle insidie per Conte

Come già detto nei giorni scorsi, il governo Conte II sta avanzando verso il rinnovo per altri tre anni del memorandum con la Libia. Un rinnovo automatico, per il quale non occorre alcun passaggio parlamentare.

Una circostanza questa, che sta salvando il governo da possibili maggiori turbamenti interni alla maggioranza giallorossa. Ci sono infatti 25 deputati, appartenenti in modo trasversale a tutti i quattro partiti che sostengono il secondo esecutivo di Giuseppe Conte, che nelle ultime ore hanno espressamente dichiarato di non approvare il rinnovo delle intese con Tripoli.

Non sorprende che la prima netta presa di distanze di una parte della maggioranza rispetto ad una scelta attuata (seppur tramite il silenzio assenso) dal governo, cada proprio sulla vicenda immigrazione. E, in particolar modo, su quel ramo della tematica che conduce al sempre più ingarbugliato dossier libico.

Giuseppe Conte si è ritrovato nella difficile situazione di dover mediare tra due posizioni diametralmente opposte: da un lato quella del Movimento Cinque Stelle, timoroso di ulteriori perdite di consenso in caso di discostamento dalla linea tenuta nel precedente esecutivo, dall’altro quella della parte più a sinistra del Partito Democratico. Quest’ultima ha avuto, sotto questo fronte, la sponda politica di LeU. La posizione a cui nelle scorse ore si sono rifatti 25 deputati della coalizione, è molto vicina a quella espressa dalle Ong ed è quindi nettamente contraria ad ogni ipotesi di rinnovo del memorandum.

Il problema del Conte II sull’immigrazione è sempre lo stesso: mostrare un cambio di passo rispetto alla linea gialloverde, senza però prendere misure impopolari. Il via libera all’attracco di navi Ong ad esempio, è una di queste e, nei primi giorni di settembre, è uscito fuori l’escamotage politico del confronto con l’Ue per le redistribuzioni dei migranti sbarcati. Soprattutto da Berlino sono arrivate molte sponde all’amico ritrovato Conte, con il governo di Angela Merkel che ha promosso il vertice di Malta dello scorso 23 settembre. E si sa, in quell’occasione, com’è andata a finire: accordi non vincolanti, intese di massima, nulla di concreto e, in sede di riunione dei ministri dell’interno dell’Ue, porte in faccia sbattute all’Italia.

Sulla Libia e sul memorandum con Tripoli il problema era ancora più complesso. Perché oltre a dover conciliare le posizioni del M5S e della sinistra del Pd, c’era da rendere conto anche ad un elemento non previsto: la realpolitik. Più fredda dei numeri, più esigente di ogni sondaggio, essa ha imposto a Conte ed al ministro Di Maio di procedere con il rinnovo del memorandum prima ancora di ogni possibile discussione interna alla maggioranza.

Vero che trattare con Tripoli potrebbe portare ad avere come interlocutori un personaggio come Bija, riconosciuto in diverse inchieste come uno dei trafficanti più pericolosi eppure rappresentante della Guardia Costiera libica, vero che in questo momento il governo libico non ha la forza di attuare misure se non con l’uso di milizie, ma senza rinnovare le intese l’Italia rischierebbe grosso. In primo luogo, stralciare il memorandum significherebbe lasciare uno spazio vuoto a Tripoli. Al Sarraj, che sosteniamo anche con 300 soldati presenti a Misurata e con un rapporto che permette all’Italia di avere l’unica ambasciata di un paese occidentale operativa a Tripoli, rimasto senza supporto da parte di Roma virerebbe verso altri lidi. Magari quelli francesi.

Ma non solo: l’accordo che il 2 novembre si andrà a rinnovare, è stato ideato in un momento in cui in Italia sbarcavano anche, come nel maggio 2017, più di ventimila migranti al mese. Il governo Gentiloni all’epoca ha agito in un contesto di forte emergenza la quale oggi, per Giuseppe Conte, costituisce uno spauracchio molto importante. La paura del presidente del consiglio, è legata al fatto che senza il rinnovo degli accordi allora si rischierebbero numeri vicini a quelli delle emergenze di due anni fa.

Dunque, ecco che il governo ha proceduto silente verso un tacito rinnovo. E, per provare ad accontentare l’ala più a sinistra della maggioranza, nelle ultime settimane sono emerse vaghe promesse. La prima ha riguardato un taglio dei fondi da destinare alla Libia nello schema previsionale delle missioni internazionali. Un elemento però, che non ha convinto né a sinistra e né tra le Ong: a gennaio, in sede di approvazione ufficiale, ciò che è stato fatto uscire dalla porta potrebbe rientrare in qualsiasi momento dalla finestra. Per di più, il memorandum è segreto e non tutti i finanziamenti potrebbero passare dal vaglio parlamentare.

La seconda promessa ha a che fare invece con le modifiche da attuare all’intesa con la Libia. Mercoledì Di Maio alla Camera ha affermato che si è già pronti a convocare una commissione con le autorità di Tripoli. Su Repubblica era anche emerso un progetto per costruire hotspot in Libia, subito rigettato dai libici stessi e dalla commissione europea. E dunque, da sinistra anche su questo fronte non si fidano.

E nelle ultime ore a dirlo esplicitamente è stato anche Nicola Fratoianni, di LeU: “O si ha il coraggio di cambiare radicalmente – ha dichiarato sull’Huffington Post – o, se continuiamo con piccole e timide reazioni, alla destra spalanchiamo la strada”. E, nel corso dell’intervista, Fratoianni ha riportato quella che è forse la posizione dell’intera parte sinistra della coalizione di governo: “A gennaio voterò contro lo stanziamento di soldi per il memorandum”.

Domani l’intesa quindi sarà rinnovata: la sfida, tutta interna alla maggioranza, si riaccenderà a gennaio.

E non è detto che, per il Conte II, sia indolore.

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