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Meno aliquote per più gettito

Il messaggio forte e chiaro di Silvio Berlusconi sulla necessità di ridurre le imposte si apre con un principio fondamentale, quello che i cittadini non sono sudditi, sono persone titolari di diritti

Meno aliquote per più gettito

Il messaggio forte e chiaro di Silvio Berlusconi sulla necessità di ridurre le imposte si apre con un principio fondamentale, quello che i cittadini non sono sudditi, sono persone titolari di diritti, quello di disporre liberamente dei frutti del proprio lavoro. L'obbligo di versarne una quota allo Stato è una limitazione della libertà e dei diritti di proprietà, inevitabile, ma che va contenuta al massimo. Cesare Beccaria che è celebre come giurista, ma anche economista, la enuncia così «dobbiamo cedere a chi ci governa il minimo della nostra libertà, per ottenerne il massimo di utilità». Il principio per cui i cittadini non sono sudditi, è sancito dalla Costituzione all'articolo 3, per cui i cittadini hanno una posizione pari a quella di parità del fisco che rende incostituzionale il redditometro basato sul diritto del fisco a stabilire il reddito dei contribuenti, con l'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente Berlusconi per Forza Italia, fa due proposte, quella a regime, che sarà possibile fare nella prossima legislatura, con la vittoria del centrodestra, che si basa sulla flat tax, l'imposta piatta e quella per l'attuale periodo di emergenza, basata su due principi. Il primo è quello di una area di esonero di 12mila euro annui, per tutti, che fa uscire dalla tassazione almeno un quarto dei contribuenti e automaticamente evita di tassare i contratti di lavoro occasionale, e molti di quelli part time, di persone di tutte le età, comprese i pensionati. Il secondo principio è quello di tre aliquote Irpef, del 15%, del 23% e del 33%. La prima si applicherebbe ai redditi sino a 25mila euro annui, ossia sino a 1.900 euro al mese per 13 mensilità, l'aliquota del 23% riguarderebbe il ceto medio. Quella del 33% si applicherebbe ai «ricchi» coloro che hanno un reddito di più di 150/200mila euro. Che per altro, in gran parte nelle dichiarazioni Irpef sono manager, professionisti, titolari di imprese personali, artisti, scrittori. I veri ricchi sono quasi assenti dall'Irpef, perché fruiscono dei paradisi fiscali del Lussemburgo, dell'Irlanda, dell'Olanda e spesso non risiedono in Italia. La proposta di Forza Italia fa perdere gettito, specie nei primi anni, in cui ha inizio l'effetto Laffer per cui la riduzione delle aliquote aumenta il gettito, perché aumentano gli imponibili. Esso, secondo gli studi esistenti, emerge gradualmente. Ma qui interviene il principio del «debito buono» enunciato da Draghi, assieme alla frase «questo non è il tempo per aumentare le imposte, ma per ridurle». Einaudi ha criticato Keynes per la tesi della finanza in deficit che, facendo salire i prezzi, svalutava il debito pubblico, impoverendo il ceto medio e minuto che ha un reddito fisso, in titoli del debito pubblico, il libretto del risparmio postale. Einaudi, però, a sua volta, adottava il principio della scuola tedesca di Friburgo dell'economia sociale di mercato, adottata da essa nel dopoguerra della Prima quella mondiale, quella del deficit per valorizzare la capacità produttiva non utilizzata. Sulla dottrina dell'economia sociale di mercato (in teoria) si basa il trattato di Maastricht. Questa teoria è adottata da Röpke e da Einaudi, nella loro teoria neoliberale basata sulla produttività. Quando vi è capacità produttiva inutilizzata, conviene fare deficit per spese di ristoro, come la rottamazione delle cartelle fiscali, e spese di investimento specie di imprese di mercato pubbliche o private, come quelle del Recovery plan.

E niente patrimoniali, come Berlusconi saggiamente suggerisce per la pace fiscale.

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