Come una ciliegina avariata su una torta già irrancidita, il dato che rispedisce l'Italia in recessione è andato tutto di traverso a Piazza Affari. Scandita dalla solita pletora di sospensioni per eccesso di ribasso, tra la tensione crescente nelle sale operative dove piovevano, incessanti, gli ordini di vendita, la giornata di ieri è scivolata via marchiando gli indici col fuoco del ribasso. Si è piegato sotto i 20mila punti il Ftse-Mib sotto il peso di un calo del 2,7% che equivale - grosso modo - a una liposuzione del valore complessivo della Borsa non troppo lontano dai 13 miliardi di euro.
In passato si è visto di peggio, ma il (quasi) mercoledì nero si è completato con il risalire dello spread tra i Btp e i Bund tedeschi, il parametro per eccellenza da non perdere mai di vista quando i conti non tornano: la forbice si è allargata fino a 171 punti base, 14 in più rispetto alla chiusura di martedì. Tornano così indietro le lancette di quasi un mese, complice il rally che ha portato il rendimento dei titoli tedeschi - di nuovo un porto sicuro dove rifugiarsi - verso i minimi. Risultato: i tassi sui nostri titoli decennali si sono arrampicati al 2,81% (2,75% l'altroieri). La rinnovata maggiore pressione sui bond tricolori ha avuto, come al solito, un effetto collaterale sulle azioni delle banche, le più penalizzate (-4,24% l'indice settoriale) a causa dell'ammontare di Bot e Btp in portafoglio. Tutti i settori hanno però sofferto: male Fiat (-5,5%), su cui pesa sempre l'ipotesi di recessi elevati da parte degli azionisti contrari alla fusione con Chrysler; seduta da dimenticare anche per Enel (-3,59%).
Ma se l'indice è ripiombato ieri ai minimi da febbraio, con una regressione dal picco raggiunto in maggio del 12%, è segno che da tempo il motore della Borsa girava su bassi regimi. E non solo per le difficoltà incontrate dal governo nel varare le riforme, non solo per gli ormai consueti dati negativi su occupazione e consumi, ma anche per la crisi tra Israele e Palestina e quella, in progressiva escalation, tra Russia e Ucraina.
Inoltre, mentre il default selettivo dell'Argentina non ha avuto alcuna ripercussione sui mercati, la crescita del 4% degli Usa nel secondo trimestre ha al contrario alimentato i timori di un rialzo dei tassi da parte della Fed prima della seconda metà del 2015. E con l'Eurozona sempre in apnea, toccherà oggi a Mario Draghi provare a mandare qualche messaggio rassicurante. Non sarà facile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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