"Mi sono fatto trascinare Salvavo vite, sono distrutto"

Mentre il più giovane nega, il più anziano parla: "Non so cosa mi sia successo". E insiste: "Era consenziente"

"Mi sono fatto trascinare Salvavo vite, sono distrutto"

Sanno di essersi rovinati per sempre vita e carriera. Sanno che il loro comportamento è indifendibile, che l'Arma non li coprirà e non avrà indulgenze, e che la sospensione dal servizio disposta sabato pomeriggio dal comandante generale Tullio Del Sette è solo l'anticamera del congedo con disonore. Sanno anche che rischiano di finire in galera, a lungo: se anche la Procura dovesse rinunciare a chiedere l'arresto immediato (e da questo punto di vista la sospensione dal servizio potrebbe giovare ai carabinieri, perché allontana il sospetto che possano inquinare le prove) comunque la condanna prima o poi arriverà, e - come chiedono tutti in queste ore - sarà particolarmente severa. Solo a una cosa i due carabinieri del Nucleo radiomobile di Firenze accusati di avere stuprato due studentesse americane non si rassegnano: a passare per mostri, a venire marchiati come predatori che, approfittando della divisa, aggrediscono due ragazze indifese e le costringono a fare sesso. «Da vent'anni sono nell'Arma e aiuto le persone, non so perché mi sono fatto trascinare in questa situazione», dice al suo difensore il più anziano dei due, quello che ha iniziato ad ammettere le sue colpe.

Ieri l'inchiesta della Procura di Firenze ha tirato il fiato. Da oggi riprendono gli accertamenti e gli interrogatori: tra questi, forse già in giornata, quello del carabiniere più giovane, che finora ha negato qualunque contatto ravvicinato con le studentesse. Ma è chiaro che la scelta del suo collega e superiore gerarchico, il capo pattuglia che ha ammesso di avere avuto un rapporto sessuale con una delle ragazze, mette anche il secondo militare in una posizione in cui negare tutto sarebbe inutile e anzi controproducente.

Dei racconti messi a verbale dalle ragazze, però, il carabiniere che - assistito dall'avvocata Cristina Menichetti - ha scelto la strada della confessione conferma solo due punti: l'intervento alla discoteca Flo, nel cuore della notte, con l'offerta di accompagnare le ragazze a casa, e il rapporto sessuale. Ma nega lo scenario quasi da Arancia meccanica che si sarebbe svolto una volta arrivati nella palazzina dove le ragazze vivono con alcune amiche. «Non mi sembrava ubriaca, non barcollava, non puzzava di alcool, connetteva bene i discorsi», dice il carabiniere. Non parla esplicitamente di avance, di profferte sessuali da parte delle studentesse, ma insiste sull'evidente consenso al rapporto. «Non credevo che fosse così giovane: aveva un'aria più matura, vicino alla trentina. E non ho percepito nessuna contrarietà al rapporto».

Nella ricostruzione messa a verbale dall'appuntato scelto davanti ai pm, e nell'intera linea difensiva, gli inquirenti notano però una sorta di buco nero, un passaggio che prima o poi andrà chiarito, e che rischia di affossare il tentativo dei militari di limitare i danni. L'appuntato dice «non mi ero accorto che fossero ubriache», perché sa bene che se ammettesse di avere approfittato di una ragazza che visibilmente non era padrona delle sue azioni l'accusa di stupro sarebbe inevitabile. Ma se lui e il suo collega non si erano resi conto dello stato delle studentesse, allora come mai si erano preoccupati così tanto della loro incolumità, al punto di farle salire sull'auto di servizio per riportarle a casa? Almeno un testimone, d'altronde, racconta di avere visto i due militari all'interno del Flo, mentre cercavano di rimorchiare le due studentesse.

Non saremmo, se questa testimonianza venisse confermata, davanti ad un intervento «umanitario» finito male, ma ad un piano deliberato dei due militari di trasformare la noia del turno di servizio in una notte da leoni. E tutto diverrebbe ancora più grave.

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