"Mi sono messo in testa di farvi guarire col cibo"

Era il proprietario dei caschi Nolan, stava per rilevare la Harley-Davidson Ha mollato tutto per creare i papillarium: "Saranno i ristoranti del futuro"

"Mi sono messo in testa di farvi guarire col cibo"

Si era a cavallo fra il 1955 e il 1956, anni di fame nell'Italia postbellica. A 8 mesi dalla nascita, il piccolo Marzio non cresceva, anzi deperiva a vista d'occhio e la sua cute diventava ogni giorno sempre più gialla. Nonna Èlia fu colta da un atroce presentimento. Si nascose dietro una tenda e vide che la tata si pappava le banane destinate al nipotino e, quel che è peggio, dava da mangiare al povero bebè le bucce. «Fui ricoverato d'urgenza all'ospedale. Il cappellano mi diede l'estrema unzione, perché secondo i medici ero spacciato. Invece ne venni fuori. Però rimasi gracile e malaticcio. Fino ai 14 anni il mio stomaco ha tollerato solo bistecche di vitello alla griglia, riso bollito condito con olio Sasso e acqua Sangemini. Da maggio a luglio vivevo praticamente al buio, a causa delle allergie da graminacee che mi procuravano gonfiore agli occhi, prurito al palato, orticaria, starnuti».

Piuttosto comprensibile che, trascorso più di mezzo secolo da quell'odissea, Marzio Nocchi, imprenditore originario di Lecco appassionato di medicina, continui a dedicare la massima attenzione all'apparato digerente. Convinto, come molti scienziati, che il 60 per cento delle malattie abbia origine nell'intestino, ha aperto a Bergamo, città dove risiede, il centro diagnostico Functional point e messo a punto un test con 150 marcatori basato sulla nutrigenomica, la disciplina che studia le influenze della nutrizione a carico dell'intero genoma. In pratica raccoglie campioni di feci e urine spediti, oltre che dall'Italia, da Svizzera, Regno Unito, Svezia, Norvegia e persino dal Sudafrica («con il corriere Dhl arriva tutto in 48 ore, tanto che ora ci stiamo allargando a Giappone, Filippine, Thailandia e Paesi del Golfo Persico»). Il laboratorio di microbiologia e virologia li analizza. Dopodiché un pool di nutrizionisti, chirurghi, biologi e gastroenterologi, fra cui Cristian Testa, Herbert Rainer e Rosanna Giuberti, interpreta i dati e decide come riparare i danni, ribilanciando la flora intestinale.

Forte di questa esperienza, Nocchi s'è ora messo in testa un progetto ancora più ambizioso, Àmati!, per curare le malattie con il cibo. Darà vita a una catena di locali chiamati papillarium, con uno staff la cui età media non supera i 35 anni. Un'evoluzione dei ristoranti, senza camerieri, con pochi posti ai tavoli, una dozzina di vetrine, una cucina-palcoscenico che occuperà il 70 per cento dello spazio e consentirà di seguire da vicino la preparazione delle vivande, servite direttamente dai cuochi. Da un'esposizione si potranno scegliere piatti pronti anche da asporto e prodotti biologici. Il primo papillarium sarà inaugurato entro fine anno in via Boscovich, a Milano.

Àmati! è anche il titolo del libro, edito da Comunica, scritto dal chirurgo e neuropsichiatra Silvio Spinelli, uno dei medici di Functional point, allievo della compianta Domenica Morini Arcuri, fondatrice della bioterapia nutrizionale, cresciuta alla scuola del grande Pietro Valdoni. Il verbo imperativo e il punto esclamativo giustificano le 60 ricette dello chef Angelo Biscotti che corredano il volume. Bisogna davvero amarlo, per stare bene, quel tubo del corpo umano lungo 10-12 metri, che comincia in bocca e finisce dove finisce, nel quale durante la vita media di un individuo transitano 60 tonnellate di roba. «Il cibo è un potente farmaco e, se preparato male, il veleno più letale a disposizione dell'uomo», ammaestra l'ideatore di Àmati!.

Dire che Nocchi s'è messo in testa un progetto ambizioso non è inappropriato, giacché per molti anni, prima di dedicarsi alla salute della pancia, ha salvaguardato l'integrità del cranio. Era infatti il proprietario della Nolan, leader mondiale nella produzione di caschi per motociclisti. Era arrivato a venderne oltre 1 milione l'anno, grazie a intuizioni geniali: il policarbonato verniciato, la chiusura priva di cinturino, il sistema di ventilazione, il trattamento antigraffio e antiappannamento, le visiere a cristalli liquidi che si adattavano alle mutevoli condizioni di luce. Ma a un certo punto l'azienda bergamasca di Mozzo, fondata dal padre Lander nel 1971, cinque stabilimenti in Italia e tre all'estero, cominciò ad andargli stretta. Avrebbe voluto farne l'onfalo di un universo sportivo che integrasse ruote e abbigliamento, per cui decise di trattare l'acquisto di Harley-Davidson (moto), K-way (impermeabili) e Superga (calzature). «Contate le forze, capii che l'impresa era troppo difficile, e poiché sono un innovatore, che non ama stare seduto sui risultati raggiunti, preferii vendere la Nolan e dedicarmi ad altro. Peccato. Era un'azienda-gioiello. Ricordo con piacere la collaborazione con Roberto Castelli, il leghista che poi sarebbe diventato ministro della Giustizia, ingegnere acustico fra i più esperti a livello mondiale, con il quale mettemmo a punto un casco che abbatteva i rumori molesti».

Anche se oggi gira su un Beverly Piaggio 250, Nocchi non ha perso la passione per la velocità, che dura da quando, bambino, con il suo go-kart rosso a pedali si schiantò in discesa contro i vasi di gerani della madre Liliana.

Immagino la paura e le proteste di quella santa donna.

«A dire il vero mamma era più interessata all'azienda di famiglia che a me. Al nono mese di gravidanza faceva leva con il pancione nel sollevare i pacchi di paragambe e parabrezza per moto prodotti dalla Ellenne di Mandello del Lario».

Imprinting precoce.

«Mio nonno, Biagio Nocchi, era poliziotto motociclista e fu pilota ufficiale della Guzzi. Sono sempre andato di corsa. Come regalo per i 18 anni, chiesi a papà di aprirmi una partita Iva e creai la mia prima società. Ho frequentato la scuola federale di Vallelunga per la Formula 2 e 3. A Mandello ho visto morire due miei amici sulla strada dei collaudatori della Guzzi, uno alla curva di Villa Maggio e l'altro in un frontale con un camion. Ho smesso perché avevo preso la brutta abitudine di provare l'insonorizzazione dei caschi Nolan in sella a una Cagiva Elefant con motore Ducati 900, sfrecciando in Val Brembana in quinta piena su una sola ruota».

Ha deciso di amarsi un po' di più.

«Àmati! l'ho soltanto inventata. Non è mia. Non sono nemmeno socio. Se ne occupano i miei figli Flaminia, 22 anni, e Livio, 21, mentre Giulia, 26, è laureanda in biologia a Parma. Tutti e tre ottimi cuochi, formatisi alla scuola di mia moglie Caterina Maria. Io mi considero di passaggio. Preferisco fare testamento mentre sono in vita, piuttosto che spartire sul letto di morte. È una bella sfida. Voglio proprio vedere - il più tardi possibile, spero - se saranno al mio capezzale per amore anziché per interesse. Se non verrà nessuno, sarà soltanto colpa mia».

Ma in questi papillarium Àmati! si mangerà vegetariano?

«Non necessariamente. Ci saranno anche la carne, ma solo di animali al pascolo; le uova, ma solo di galline cresciute allo stato brado; il pesce, ma solo quello azzurro che non si può allevare; i formaggi e gli yogurt, ma solo quelli provenienti dalle 200 capre della nostra azienda agricola di Bettola, nel Piacentino, affittata alla cooperativa sociale Il Cardo, dove abbiamo piantato ortaggi di cultivar particolari e legumi, mais e grano antichi».

Che intende per «antichi»?

«Frumenti come il monococco, il timilia, il russello e il carosella, quasi estinti perché danno una bassa resa per ettaro e quindi la pasta che se ne ricava costa cara. Siamo attentissimi all'origine dei prodotti. Mia figlia è andata di recente in Lapponia a selezionare fornitori di pesce e alghe. Mio figlio ha girato dalla Thailandia all'Australia prima di trovare la Camellia sinensis, la pianta che dà origine al tè, dell'azienda Makaibari, vicino al Kangchenjunga, il terzo gigante himalayano, nella regione indiana del Darjeeling, dove su 674 ettari solo 250 sono coltivati e i rimanenti 424 vengono lasciati alla foresta pluviale che protegge dai parassiti senza l'intervento dell'uomo. E a Sumatra ha individuato una piantagione di caffè arabica gestita da una signora svizzera che si sta opponendo strenuamente alla deforestazione con cui il governo vorrebbe far posto alle palme da cocco per ricavarne il biodiesel».

Con tutto il rispetto per i contadini indonesiani, ci sarebbe molto da scoprire anche in Italia.

«Infatti abbiamo già individuato molti vegetali in via d'estinzione come i ceci neri, le cicerchie, le carote».

Le carote?

«Tutti pensano che siano arancioni. Non sanno che quel colore è frutto di una selezione compiuta dagli olandesi. La carota in origine è nera, ma viene disprezzata perché tinge i denti e le labbra, nonostante sia ricchissima di polifenoli. E nel Belpaese c'è anche la carota di Polignano a Mare, bianca, violetta o rossa».

Il vostro specialista, il dottor Spinelli, è persuaso che il 35 per cento dei tumori si possa guarire con il cibo.

«O prevenire. Sono gli effetti benefici delle sostanze fitochimiche, molte delle quali ancora da scoprire, presenti nei vegetali: polifenoli, sulfidi, monoterpeni, saponine, fitosteroli, carotenoidi, fino alla capsaicina del peperoncino».

Però Spinelli mangia i fritti, ho letto.

«Che c'è di strano? Può farlo anche lei. L'importante è usare extravergine d'oliva in abbondanza e non riciclato, tuffarvi dentro pezzature piccole che rimangano in superficie per pochi istanti e friggere a 190 gradi, in modo da non superare il punto di fumo, che scatta a 210 alterando la struttura molecolare dell'olio».

Àmati! parla di cibi che renderebbero addirittura felici. Chissà che cosa mangiava il povero Robin Williams.

«Quasi mai salmone, temo, che contiene tanta vitamina B12 e regola il tono dell'umore. Anche gli omega 3 dei pesci di acque fredde prevengono la depressione, alzando i livelli di serotonina nel cervello. E pure il limone è antidepressivo».

Conforta scoprire che la vellutata di broccoli siciliani con uovo alla coque mantiene in forma il cervello.

«È fondamentale che il tuorlo sia liquido e che l'albume non venga troppo cotto, onde preservare tutti gli aminoacidi essenziali che contiene. Nell'uovo vi sono alte dosi di colina, la cui carenza determina disturbi della memoria e della concentrazione. In particolare, due carotenoidi presenti nel tuorlo, la luteina e la zeaxantina, hanno un effetto protettivo contro i danni cerebrali e i disturbi visivi. Molte malattie degenerative senili, come il morbo di Alzheimer, sono favorite proprio dal ridotto consumo di uova».

Mi ricorda l'Armando, muratore romano della Garbatella scelto come guardaspalle da Palmiro Togliatti, che andava tutti i giorni dal macellaio a comprare il cervello da servire panato e fritto al capo comunista perché sosteneva che il Migliore doveva mantenere intatta la sua intelligenza. Esito: un ictus fatale in Crimea.

«Le assicuro che la colina è essenziale per la costituzione dei neurotrasmettitori. Si trova anche nel latte, nel fegato, nella carne bovina e di tacchino».

Pagina 77: in caso di diarrea acuta, grana grattugiato nel tè. Spaventoso.

«Sono due astringenti sinergici. Ma sarebbe preferibile proteggersi da questi eventi consumando con regolarità i probiotici, che sono fondamentali contro le aggressioni dei batteri e le alterazioni della flora intestinale. In particolare il Lactobacillus casei Shirota».

Con la miriade di dietologi in circolazione, non teme d'aver investito in un settore troppo affollato?

«Lo temo sì. Ma io non propongo diete. Il dimagrimento è l'effetto inevitabile del mangiar bene. Il mio caso è da manuale: pesavo 90 chili, oggi sono 76, metto i vestiti di 30 anni fa».

Il business di Àmati! in che consiste?

«Nella catena dei papillarium che apriremo: abbiamo richieste da Roma, Firenze, Genova, Venezia e Modena, oltreché da New York, Londra, Bruxelles e Pechino. E negli alimenti a marchio. Il dottor Spinelli ha messo a punto una salsa a base di curcuma, eccezionale su pane, pasta, riso, patate lesse, carni bianche e pesce».

Non basta mangiare meno per amarsi?

«Sì. Non in termini di calorie, bensì di quantità. Lei consuma 10 datteri, ingerisce 700 calorie e attua nel contempo una restrizione calorica perché non intasa l'intestino con una massa consistente da scomporre, digerire, assimilare. È lo stesso principio per cui Spinelli è in grado di farti dimagrire dandoti 3.000 calorie e di farti ingrassare con 1.700».

Ma lei che cos'ha mangiato ieri sera?

«Insalata condita con olio pugliese, una porzione di feta greca, acqua naturale, un ghiacciolo alla fragola. Mangio pochissimo, la sera. Per anni ho dormito solo due ore a notte. Da quando applico la regola “colazione da re, pranzo da principe, cena da povero”, sogno a colori».

(719. Continua)

stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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