Edoardo se ne è andato un pomeriggio di giugno di tre anni fa, in una di quelle lunghe ore d'estate che sembrano non arrivare mai a sera. Viaggiava sullo scooter abbracciato a papà, erano diretti al campetto di calcio di Rosciano, provincia di Pesaro, c'era la finale del torneo di calcio riservato ai pulcini e Edoardo, otto anni e mezzo, era uno della covata. Lo scooter ha incrociato un trattore che saliva dalla stretta stradina che portava al campo, con agganciato un rimorchio: quando si sono visti, all'improvviso, come un flash nel buio, era troppo tardi. L'impatto ha scaraventato il piccolo sotto una ruota del rimorchio e spezzato la spina dorsale al papà Alessandro. Lui si è salvato, ma ora cammina grazie a un supporto in titanio. «Ho pensato: basta, la mia vita è finita qui. Non mi importa più niente del mondo. Adesso la faccio finita, me ne vado con lui...» Angela Anzani Giliberti, la mamma di Edoardo, non piange più, se non quando è sola. Ha trovato, nel deserto che ti si apre davanti per sempre quando perdi chi ami, una ragione per attraversarlo che le dà forza. Non è più la stessa donna che era prima, anche se da fuori non si vede. «La prima cosa che perdi è il sonno: per una settimana non sono più riuscita a dormire. E il cervello piano piano ti scivola via». Poi ci sono i brutti pensieri: «Pensavo: se mi è capitato questo vuol dire che io non merito di essere madre. Vedi tutto come una punizione». E poi il mondo intorno a te ti abbandona, ti gira alla larga, per paura più che per indifferenza: «Persino mia madre mi diceva: non chiamarmi che non so cosa dirti. Perchè anche quelli che ti amano soffrono il loro dolore e non hanno parole per dare risposte al tuo». Quando il marito esce dall'ospedale va anche peggio: «Siamo rimasti soli perchè in Italia, al contrario di altri paesi europei non esiste alcun supporto alle famiglie. A meno che non paghi. Se vuoi uscire dal tunnel ti devi arrangiare. E sa quanto danno di congedo a una mamma che perde il figlio? Tre giorni». Ma la comunità si muove, è un abbraccio collettivo che diventa famiglia, a partire dal parroco, a partire dalla fede che dà senso prima che consolazione. Poi arriva una telefonata: «Era una mamma di Pesaro, aveva perso un figlio di tre anni che si chiamava Edoardo come il mio. Il primo messaggio mi arrivava da chi aveva vissuto lo stesso dramma. E lì ho capito qual'era la mia strada». Angela oggi fa parte un gruppo di famiglie, una trentina di tutta Italia, che hanno vissuto lo stesso dramma e creato un gruppo di mutuo soccorso per chi si trova ad affrontare lo stesso dramma. Si fanno vivi discreti, si offrono per dare consigli, assistenza, calore. Il potersi dire è successo anche a me, so cosa vuol dire. «Anche perchè i lutti richiamano sciacalli, gente che si approfitta di te». Angela va a casa di chi è come lei, «li trovo che non si lavano da giorni, che non parlano più: li abbraccio, li faccio parlare, affronto il vuoto delle stanze dei loro bambini. Aiutiamo i genitori ad elaborare il lutto». Sa che c'è bisogno di tutto, anche di superare tanti dolori collaterali che la gente ti infligge senza accorgersene: «Siamo l'incubo dei genitori perchè ti vedono come loro si augurano di non diventare mai. Così ti ritrovi sola».
Ora ha aperto la casa de Edo, alle Canarie e non in Italia «perchè il problema di mio marito ha bisogno di clima caldo», una sorta di B&B, aperto alla famiglie che hanno bisogno di ricominciare, di trovare una via uscire dal dolore. Lo fanno per amore di Edo e per amore. Perchè alla fine è più difficile rinunciare all'amore che alla vita.
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