Roma - «Se qualcuno ha pagato la casa per me, lo ha fatto a mia insaputa». Mal ne incolse al ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, quando i fratelli Anemone si «interessarono» amichevolmente alla sua sistemazione romana in una casa vista Colosseo. I fatti (e i magistrati) gli diedero ragione, ma nell'immaginario collettivo il politico ligure resterà sempre quello che giustificò la compravendita di un immobile a un prezzo inferiore a quello di mercato con l'inconsapevolezza di un eventuale aiutino esterno.
E d'altronde il sindaco Virginia Raggi non è stata mica l'unica a cercare di cavarsela con una frase a effetto che si è rivelata poi un boomerang. Sempre in tema di Roma Capitale, basta ricordare come il vicepresidente grillino della Camera, Luigi Di Maio, cercò di giustificare la propria inoperosità rispetto alla presenza di un assessore indagato (Paola Muraro) nella giunta capitolina. La senatrice Taverna il 5 agosto gli inviò una mail con la quale lo ragguagliava delle vicende giudiziarie dell'assessore, ma Di Maio non fece nulla. «Ho sbagliato a leggere la mail», si giustificò un mese dopo. Eppure il testo era tanto chiaro, ma una volta che si viene colti in fallo si capisce che l'istinto naturale porti ad arrampicarsi sugli specchi.
Un po' come accadde all'ex ministro dell'Interno, Roberto Maroni (oggi governatore della Lombardia) nel 1994 ai tempi del decreto Biondi. Il provvedimento vietava il ricorso alla custodia cautelare in carcere per i reati contro la pubblica amministrazione e per quelli finanziari. Un provvedimento di civiltà per il quale una folla incivile, aizzata dalla barbarie dei pm di Tangentopoli, di Magistratura democratica e del Pds a loro contiguo, si stracciò le vesti imponendone la decadenza. La Lega e Alleanza nazionale, spaventate dalle proteste, si tirarono indietro lasciando soli il premier Berlusconi e il suo ministro della Giustizia. «Ho letto male, mi hanno imbrogliato», disse Maroni prendendo le distanze anche da se stesso visto che quel decreto l'aveva firmato.
Oltre alla doppia personalità l'elenco delle scuse dei politici include anche la distopia (o discronia). Il democristiano Paolo Cirino Pomicino, interrogato sui 5 miliardi ricevuti come parte della maxitangente Enimont, ebbe a dire si trattava di «un contributo elettorale per le elezioni anticipate del 1992». Ma se la tangente fu erogata nel giugno '91 come faceva Cusani a prevedere il futuro visto che il governo Andreotti era nel pieno dei propri poteri? «E infatti lo obiettai a Sama (manager Montedison), ma lui mi rispose che era meglio prepararsi per tempo».
C'è anche chi
pensa di chiudere le partite con la scusa del linguaggio colloquiale come la deputata Pd Micaela Campana che mandò un sms al ras delle coop Salvatore Buzzi scrivendo «Bacio grande capo». Come mai? «Ma io dico sempre così...».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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