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Migranti, virus e sovranismo. Il folle show di Hénri Levy in tv

Il filosofo si scontra con Salvini a "Quarta Repubblica". E se la prende con gli italiani "xenofobi e nazionalisti"

Migranti, virus e sovranismo. Il folle show di Hénri Levy in tv

Che il virus renda folli, come recita l'ultimo pamphlet del filosofo francese Bernard-Henri Lévy, ce l'ha fatto ben capire il suo autore protagonista - lunedì sera - di un borioso testa a testa con Matteo Salvini nel corso del programma di Nicola Porro Quarta Repubblica su Rete4. Reduce da un viaggio in Libia dove è stato accolto al grido di «uccidi il cane ebreo» e salutato con festose raffiche di kalashnikov ad altezza d'uomo il filosofo ha preferito però concentrarsi su «xenofobia, nazionalismo e sovranismo» mettendo sotto accusa i «barbari» italiani colpevoli di dar la caccia ai migranti «diventati i principali untori del coronavirus». Insomma per l'ex nouveau philosophe il principale problema non è il contenimento di un morbo responsabile della morte di 35mila nostri concittadini, ma la protervia «sovranista» di chi vorrebbe bloccare i migranti infetti bollandoli come possibile causa di una seconda ondata di contagi.

In preda a un delirio auto-referenziale il cui unico obiettivo sembrava la conquista delle fila anti-salviniane e la vendita di qualche copia in più Henri Lévy è arrivato a liquidare come «terribili ignobili e vergognose» le parole del sindaco di Lampedusa Totò Martello, già simbolo dell'accoglienza solidale e progressista. La colpa imperdonabile del povero Totò, trasformato in icona della peggior xenofobia, è quella di spiegare come i pescatori tunisini, oltre a traghettare migranti a pagamento, gettino le reti nelle acque territoriali di Lampedusa sottraendo pesci e proventi ai loro colleghi italiani. Una verità chiaramente illustrata nel reportage della brava Lodovica Bulian sottotitolato in francese per renderlo comprensibile anche all'ospite francese. Ma per l'indispettito Lévy quelle riprese non contano nulla. Anzi è «vergognoso mostrare immagini di questo genere come se rappresentassero l'opinione del popolo italiano». Insomma per il presunto campione del pensiero liberale d'oltralpe sarebbe meglio non far vedere - ovvero censurare - un servizio colpevole di «stigmatizzare e individuare come problema qualche barchetta che viene a pescare al largo delle coste italiane». Che quelle barchette abbiano scaricato un terzo dei 12mila migranti arrivati quest'anno - dopo i 600mila sbarcati dalla fine del 2013 - è ça va sans dire irrilevante. I veri problemi degli italiani li conosce un filosofo pronto a dipingere l'Italia come un Paese piegato da mafia e terrorismo e pronto a vendersi a Putin. Un Paese che - come ripete Lévy rivolgendosi a Salvini - «senza l'Europa sparirebbe dalla mappa dell'Europa e dell'economia».

«Voce del sén fuggita» - verrebbe da dire visto che l'Italia durante il contagio ha subito il blocco delle forniture sanitarie e ha dovuto attendere cinque mesi per veder abbozzata la promessa, ancora virtuale, del Recovery Fund. Ma per sfortuna degli spettatori di Quarta Repubblica, abituati a dibattiti più pertinenti e informati, la performance del filosofo francese non si ferma là. La vera ciliegina arriva alla fine quando il «filosofo» spiega sotto gli sguardi sconcertati di Porro, che soltanto grazie ai migranti potremo trovare cure e vaccino contro il Covid 19. «Senza immigrazione maghrebina e africana non c'è ricerca e non si troverà mai un vaccino o una cura contro il Covid» ripete l'invasato Lévy citando l'infettivologo di Marsiglia Didier Raoult più famoso, in verità, per aver curato il Covid con la clorochina. «Quindi - conclude - se in Francia o in Italia si troverà un vaccino bisognerà dire grazie ai migranti».

A quel punto Henry Lévy avrà anche conquistato qualche lettore anti-salviniano, ma Salvini, in compenso, ha moltiplicato i propri voti.

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