Neppure il tempo di incassare il no del Senato alla sua decadenza che per Augusto Minzolini si riapre un altro processo. «Giovedì un sospiro di sollievo, chiamiamolo così, e dopo cinque giorni ecco che arriva la notifica di una nuova udienza, l'appello della vicenda Ferrario. Una tempistica che mi ha abbastanza colpito, sembra che solo con me la giustizia italiana sia un orologio svizzero. L'altro processo tre gradi in quattro anni, mentre a Torino ci hanno messo vent'anni a giudicare uno stupro, prescritto. Se non è persecuzione questa...». Minzolini dovrà vedersela di nuovo con i giudici, che già in primo grado l'avevano condannato a 4 mesi di reclusione per aver cambiato i conduttori del Tg1. Ricorso fatto ovviamente proprio da Minzolini, ma è la tempistica a lasciarlo perplesso.
«Se la vicenda della carta di credito è una palese ingiustizia, con la sentenza di un giudice che prima di tornare in magistratura era stato in politica per 20 anni in uno schieramento opposto al mio, con quest'altra siamo proprio su un altro pianeta. Immaginare che ci sia un processo penale (abuso d'ufficio, ndr) per aver spostato un conduttore, dopo 28 anni di video, sulla scia dell'assunzione di diciotto giovani precari, la trovo una cosa veramente assurda. Se una Procura entra in redazione e pretende di decidere come un direttore deve utilizzare i suoi giornalisti vuol dire che in Italia abbiamo abbondantemente superato il livello di allerta rispetto ai limiti della magistratura. Aggiungo solo che mentre questa persona faceva causa per demansionamento, era corrispondente della Rai a New York, forse la sede estera più prestigiosa della tv di Stato». Eppure Minzolini, oltre ad essere condannato per abuso d'ufficio (il 19 aprile la prima udienza dell'appello) dovrà anche risarcire l'ex conduttrice Ferrario per il danno esistenziale («patimento interiore») che lo spostamento dalla conduzione serale del Tg1 alla ambita sede newyorkese le avrebbe procurato.
Tutti pezzi di una storia che - è convinto il senatore dimissionario ed ex direttore del Tg1 - costituisce un «caso esemplare»: «Quando ero un privato cittadino sono stato assolto, poi quando sono entrato in politica (con Forza Italia, ndr) sono stato condannato. È evidente che in Italia la sfera politica condiziona il giudizio dei giudici. Ho scoperto che anche in India ci sono dei paletti per i giudici che hanno fatto politica, da noi invece un magistrato in aspettativa si candida alla segreteria del Pd. E anche la nuova norma che stanno approvando alla Camera non lo impedisce. E mi chiedo: cosa direbbe Renzi se si trovasse poi Emiliano come suo giudice? Persino un ex magistrato di sinistra come Luciano Violante parla di repubblica giudiziaria. Io 25 anni fa con un articolo feci dimettere Violante dalla commissione Antimafia, ora devo dirgli chapeau». Del resto un pezzo del Pd ha votato contro la sua decadenza da senatore, riscontrando un fumus persecutionis nella condanna del giudice Giannicola Sinisi, già parlamentare dell'Ulivo e sottosegretario del governo Prodi. «Anche Renzi ne ha parlato come di una vicenda molto strana, anche se poi ha detto che avrebbe votato per la mia decadenza perché questo prevede la legge. Visto che siamo quasi a Pasqua, mi viene in mente il sacerdote Caifa, che al processo di Gesù dice così è la legge, e Pilato se ne lava ne mani. Ecco Renzi è come Pilato. Certo, io non sono Gesù». Molti senatori insospettabili si sono congratulati con Minzolini dopo la decisione di salvarlo (ma lui poi ha comunicato le dimissioni dal Senato, che andranno votate dall'aula). «Anche alcuni senatori grillini mi hanno mandato sms di solidarietà, ma non dirò i loro nomi». Il presidente dell'Anm Piercamillo Davigo dice che Minzolini era già un parlamentare «abusivo» per via della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici. «Davigo, e i giornalisti manettari, dovrebbero leggersi la Costituzione prima di parlare. In particolare l'articolo 66, che dice che è la Camera di appartenenza a giudicare sulla ineleggibilità e incompatibilità di un parlamentare, non l'Anm.
E tra i padri costituenti chi difese più di tutti questo principio fu Umberto Terracini, avvocato comunista. La decadenza non è automatica, perché la politica ha una autonomia che va difesa. Anche dai finti paladini della Costituzione».
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