Missione impossibile senza l'ok della Ue

Il premier promette una sforbiciata ma senza l'ok dell'Europa il suo piano rischia di saltare e trasformarsi in flop

Missione impossibile senza l'ok della Ue

Ancora una volta, Matteo Renzi prende tutti in contropiede. Anche il suo ministro dell'Economia. A Via Venti Settembre avevano iniziato a studiare la prossima legge di Stabilità, e stavano ragionando su un taglio fiscale da 20 miliardi. Non da 45 nel triennio.

L'entourage del premier, che ha fatto filtrare il dato, comunque, ha ragione quando dice che l'operazione può essere fatta rispettando il tetto del 3% di rapporto deficit/Pil. Il problema è che i Trattati europei impongono all'Italia di portare a zero il deficit: l'Italia s'è impegnata a farlo nel 2018. Ne consegue che, dopo il caso-Grecia, è assai probabile che Renzi chiederà ai partner Ue di far slittare di qualche anno il pareggio di bilancio. Un po' come sta facendo la Francia: da qui l'«alleanza» franco-italiana su Atene. E Parigi ha ben chiaro cosa chiedere in cambio a Roma, qualora l'operazione dovesse andare in porto.

In termini di finanza pubblica, l'eliminazione della tassa sulla prima casa e dell'Imu agricola nel 2016 comporta un mancato gettito di poco meno di 5 miliardi destinati ai Comuni. Verosimilmente, questi chiederanno maggiori trasferimenti. Il governo li concederà, ma non copriranno il mancato gettito. Quindi, l'onere a carico dello Stato sarà nell'ordine dello 0,25% del Pil. Mentre per i proprietari l'alleggerimento potrebbe essere vanificato dall'aumento delle rendite catastali. Il deficit del prossimo anno, anziché fermarsi all'1,8%, può anche salire al 2% ed oltre: rimarrebbe sempre sotto il 3%. Per raggiungere quell'1,8% serve una manovra da 10 miliardi.

I problemi, anche per le dimensioni annunciate, arriveranno nel 2017 e 2018. Realizzare un alleggerimento fiscale da 20 miliardi in tutt'e due gli anni, equivale appesantire il deficit per 1,4 punti di Pil all'anno. Nel 2017 l'operazione dovrebbe interessare (così dice Renzi) le tasse sulle imprese: Ires ed Irap. Nel 2018, le persone fisiche. E il 2018 è l'ultimo anno della legislatura. Insomma, i contribuenti potrebbero andare a votare per rinnovare il Parlamento con 20 miliardi di tasse pagate in meno: ciclo elettorale. Nel 2017, a legislazione vigente, il deficit previsto è dello 0,8% del Pil. Nel 2018, l'Italia dovrebbe conquistare il pareggio di bilancio. Ne consegue che se questi sconti fiscali fossero «non coperti» da minori spese, il deficit del 2017 salirebbe al 2,2% e quello del 2018 all'1,4%: sempre sotto il 3%. L'impatto di simili misure, poi, potrebbe essere anche inferiore, considerato l'inevitabile apporto al Pil dato dalle misure stesse: insomma, salirebbe il denominatore ed il rapporto scenderebbe.

Tutto facile, quindi. No. I Trattati presuppongono che il deficit sia sempre in discesa. Mentre in questo modo salirebbe fra il 2016 ed il 2017. In più, verrebbero infrante decine di regole della Ragioneria generale dello Stato, del Patto di Stabilità, del Fiscal compact. Pagare meno tasse è l'obbiettivo di tutti.

Prometterlo con un ministro dell'Economia contrario, è un po' più difficile. Quand'era ministro delle Finanze, Rino Formica diceva: le misure fiscali prima si adottano e poi si annunciano. Ma all'epoca, Renzi era al liceo.

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