Un mito infranto, tedeschi sotto choc

Lo sconcerto è superiore a quello per i falsi diari di Hitler

Un mito infranto, tedeschi sotto choc

Come se agli italiani avessero toccato la Ferrari, Armani e tutto il made in Italy messo insieme. O come se l'imbattibile nazionale di Müller, Göetze e Özil fosse all'improvviso accusata di aver vinto gli ultimi mondiali dopo aver truccato le partite decisive. Ieri Angela Merkel ha invocato «piena trasparenza in una situazione difficile». E il ministro dei trasporti Alexander Dobrindt ha annunciato una commissione d'inchiesta governativa, che è gia pronta a recarsi al quartier generale della Volkswagen.

Reazioni forti che però non rendono del tutto lo sconcerto che lo scandalo dei gas di scarico truccati ha provocato in Germania. Perché la vicenda ha toccato due simboli. A torto o a ragione i tedeschi dell'auto si considerano gli inventori. E non c'è ingegnere a Nord delle Alpi che non sia in grado di recitare a memoria la nazionale made in Germany della storia dell'automobile: Rudolf Diesel, Carl Benz, Gottlieb Daimler, Ferdinand Porsche (e si potrebbe continuare a lungo). Altra tradizionale fonte di orgoglio sono le cosiddette «virtù tedesche»: onestà, serietà, diligenza. Tanto più degne di nota se paragonate a quelle dei vicini del Sud. «L'Italia è ancora come la lasciai, ancora polvere sulle strade, ancora truffe al forestiero... Onestà tedesca ovunque cercherai invano», scriveva Goethe, a cui pure l'Italia piaceva non poco.

Il risultato è che questi giorni sono destinati a rimanere nella memoria collettiva. Come e più di altre vicende: la bufala dei falsi diari di Hitler, presentati come veri dal settimanale Stern e poi rivelatisi frutto della creatività di un abile faccendiere; le spericolate operazioni finanziarie della Deutsche Bank, uno dei simboli appannati del potere economico tedesco. O come lo scandalo, che tanta indignazione ha provocato tra gli automobilisti tedeschi, dell'Adac, l'Automobile Club locale, che per darsi peso e importanza moltiplicava a dismisura gli iscritti. Robetta, in confronto a quanto sta emergendo ora sulla Volkswagen. E così il numero uno della Porsche, che pure appartiene al gruppo, ha dichiarato di essere «inc... nero». Politici ed economisti hanno parlato di «catastrofe per l'industria tedesca», con possibili ricadute non solo sull'occupazione nel gruppo Vw ma su tutto l'export del Paese. Il sito della Bild , termometro infallibile della sensibilità popolare, ha mantenuto per tutto il giorno come prima notizia il video del numero uno della società Martin Winterkorn che si profonde in umilianti scuse. Più pratico Bernd Osterloh, capo dei sindacati della Vw, che hanno fior di posti nel consiglio di sorveglianza del gruppo: «Ci saranno conseguenze personali, dovranno cadere delle teste». E le teste cadranno. Perché, e questa è un'altra differenza con i vicini del Sud, i tedeschi praticano poco la virtù del perdono.

L'ex ministro della Difesa Karl-Theodor zu Guttenberg aveva copiato parte della tesi e fu costretto a dare subito le dimissioni. Era il marzo 2011. Per un peccato tutto sommato veniale è, da allora, il paria più illustre della politica tedesca.

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