Il monito di Orsini: "Ora servono certezze. Senza imprese Paese a rischio recessione"

Confindustria chiede un piano da 8 miliardi per gli investimenti

Il monito di Orsini: "Ora servono certezze. Senza imprese Paese a rischio recessione"
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"Per battere l'incertezza ci vuole la certezza". Sembra una tautologia ma il messaggio che il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini (in foto), ha lanciato ieri nel corso della presentazione del rapporto di previsione autunnale del Centro studi di Viale dell'Astronomia è chiaro, soprattutto nei destinatari che si trovano a Palazzo Chigi e al ministero dell'Economia. "Oggi - ha proseguito - l'incertezza la combatti solo con la certezza del diritto, la certezza dell'investimento e la certezza dei tempi; dopodiché toccherà a noi (industriali) assumerci le nostre responsabilità".

Nel rapporto del Csc, infatti, più che il taglio della stima del Pil 2025 da +0,6 a +0,5% annuo e il non entusiasmante +0,7% atteso l'anno prossimo spiccano due sottolineature che rimarcano una strisciante insofferenza del ceto imprenditoriale. "L'effetto positivo del Pnrr sul Pil è stimato in un +0,8 punti nel 2025 e un +0,6 punti nel 2026, rispetto alla variazione nello scenario base", si legge nel documento. Il che significa che, senza i fondi europei che hanno stimolato gli investimenti, quest'anno l'Italia sarebbe in recessione (-0,3% il saldo) e il prossimo in stagnazione (+0,1%).

Per questo motivo Orsini ha riproposto la sua richiesta. "La Germania stanzia circa 40 miliardi l'anno e noi facciamo fatica per 8 miliardi con tutte le misure a scadenza (Ires premiale, Zes, Transizione 5.0; ndr)" e questo "diventa un problema", ha affermato Orsini. Sul fronte degli investimenti ha insistito sul fatto che "noi dobbiamo avere la capacità di avere un grande progetto di rilancio Paese" anche attraverso la mobilitazione del risparmio privato parcheggiato nei conti correnti. "Se raccogliessimo un 1% fa 15 miliardi. Ma anche se raccogliessimo 5 miliardi, usiamo le garanzie di Sace, con un piano di 3 anni, non dico che devono andare nell'industria ma sarebbe la continuazione del Pnrr", ha concluso.

La seconda annotazione del rapporto è la prosecuzione ideale dello studio Cida-Itinerari previdenziali di qualche giorno fa. Il 5,5% delle imprese italiane, circa 256mila, produce il 71% del valore aggiunto nazionale. Unitamente a circa 10 milioni di lavoratori impiegati pagano l'83,2% del gettito fiscale e contributivo del Paese. Insomma, come avrebbe detto Luca di Montezemolo, "c'è chi rema e chi invece sta a poppa a prendere il sole".

Orsini ha poi ribadito un altro concetto fondamentale della sua presidenza.

"Mi fa piacere che la parola disaccoppiamento sia entrata nel vocabolario italiano, ma lo facciamo? Per essere competitivi l'energia deve essere pagata in media come gli altri Paesi europei", ha detto riferendosi ai prezzi negativi in Spagna e all'attrattività degli Usa per le nostre aziende in cerca di nuove location. C'è, però, una novità. Su questo fronte il sindacato è dalla parte degli imprenditori, ha compreso che l'energia in Italia è un freno alla crescita. Le intese su contratti e salari vengono dopo.

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