Dopo un po' mi sono stufato e sono andato in televisione per vedere se almeno davanti alle telecamere saltava fuori qualcosa di nuovo. Calma piatta, vele flosce, il bottino è talmente magro che si fa fatica a metterlo insieme. Cominciamo dalla fine: oggi è il gran giorno della verità. O meglio, un piccolo giorno in cui si consumerà (se le cose andranno come Renzi spera e il pallottoliere tende a confermare) l'incredibile strappo costituzionale cui abbiamo tutti assistito in diretta: il giovane Primo (...)
(...) ministro che nomina personalmente il re e lo sceglie di profilo onesto, ma totalmente ignoto alle cancellerie. Ma ben noto alla politica della Prima Repubblica. È vero che quando un outsider entra al Quirinale prima o poi si trasforma in un degno presidente, e inoltre io ricordo personalmente il devastante dolore sul volto di questo signore dai tenaci capelli bianchi nella camera ardente di suo fratello Piersanti ucciso a Palermo. È un uomo che non si è mai visto ridere e raramente sorridere, cosa cui dovrà rimediare.
Dove invece il rimedio non c'è, a parer di cronista, è nello strappo alle consuetudini costituzionali e ad un patto - quello del Nazareno - che era anche e prima di tutto un patto politico. Era politico perché Renzi aveva avuto la consapevolezza del fatto che Silvio Berlusconi non era affatto fuori gioco come sarebbe piaciuto alla sua sinistra interna e agli integralisti, ma che seguita a rappresentare la metà del ceto medio italiano, anche quello momentaneamente assente alle urne. Ed è proprio questo che gli rinfacciavano col coltello fra i denti gli uomini del vecchio corso conservatore interno, anche se giovani. Così, quando ha dovuto scegliere fra salvare il patto e salvare il partito, ha optato per il partito. Contando, e questo aspetto si sentiva nelle chiacchiere di Transatlantico anche fra elettori di Forza Italia, sul fatto che Berlusconi non avrebbe comunque messo a repentaglio le riforme già avviate all'approvazione.
Dunque, essendo questo il fondale dell'acquario, c'è poco da raccontare sui pesci rossi, o di altro colore. Essendo stato il Parlamento definitivamente scippato anche del diritto di mugugno, di sedizione, di raduni notturni alla luce delle torce, di complotto, di resistenza alle segreterie, lo spettacolo di ieri era quello di una foresta pietrificata, dove gli alberi hanno la forma di albero, ma non c'è più alcuna forma di vita. Di conseguenza, cronisti e politici si facevano e si rimpallavano le stesse parole, le stesse domande e le previste risposte. Gli uomini e le donne del Nuovo centro destra sembravano più bastonati di quelli di Forza Italia perché come alleati di governo si sentono e sono tagliati fuori. È come se Renzi gli avesse detto: voi contate quanto il due di briscola e non vi voglio al tavolo delle decisioni. I malumori che erano stati del Pd, si sono scaricati nell'area moderata che dà qualche segno di colica. Il Pd invece si è fatto una pera antidolorifica e dunque vedi ovunque questo Vendola che sprizza felicità da quasi tutti i pori. L'onesto Bersani, come si deve sempre dire quando si nominano personalità del Pd, gongola, mentre la maggior parte dei cinquestellati si sente fuori del gioco, ma nella coreografia. Ognuno fa la sua parte davanti alle telecamere, che è quel che conta. Il mio amico Roberto Calderoli, con il suo nuovo look da vecchio nostromo, sembra che abbia preso una dose di Viagra politico perché ostenta una scattante giovinezza rinnegando la sua precedente vita ai tempi del «porcellum» e sostenendo che l'Italicum è più porco di quello di prima. Insomma, livelli stratosferici malgrado la buona volontà degli attori.
Questo è un Parlamento dalle facce impenetrabili. È finita l'era di quel bel Transatlantico democristiano socialista e comunista in cui il cronista pascolava le sue pecore da un divano all'altro. Adesso non c'è più differenza fra il grande salone con la buvette e l'aula. Le ire si trascinano fuori come bave di lumaca e si formano gruppetti di sussurranti. L'unica cosa che resta, rispetto al passato, è la mania del pallottoliere: si fanno e si rifanno mille volte i conti dei possibili franchi tiratori, ma anche quelli dei «convergenti tiratori» (quelli che nel segreto dell'urna saltano sul carretto del vincitore). Così i numeri del pallottoliere salgono e scendono e si modificano come cartoni animati, anche se alla fine sembra che il risultato sia quello calcolato e previsto dal multitasking Matteo Renzi.
I giornalisti della stampa estera non ci capiscono spesso nulla e del resto il loro compito non è invidiabile: spiegare al mondo del Nord protestante e calvinista la giravolta sulle maggioranze a geometria variabile (dette anche «tre forni») deve essere più stressante che tradurre in inglese una dichiarazione di Ciriaco De Mita, ai bei tempi. Così, alla fine i giornalisti si intervistano fra loro: che ne pensi, che succederà, ma siamo sicuri, ma siete sicuri, e via dubitando. Sono stati due giorni di inutili accanimenti terapeutici sul corpo esangue di una democrazia parlamentare esangue. Si erano molto lamentati per il fatto che il berlusconismo aveva tolto potere ai partiti e alle segreterie, e adesso ci troviamo davanti al segretario unico, del partito di maggioranza totale che agisce in modo sottilmente totalitario. Anche di questo si parla nel salone dei passi perduti: l'anomalia di Renzi che usa con strabiliante abilità l'affluenza delle parole, l'intreccio fra luoghi comuni e battute, con un potere ipnotico molto moderno e televisivo. Legge del contrappasso: Renzi è una creatura cresciuta all'ombra delle televisioni berlusconiane e mette a frutto con innocente sfacciataggine l'addestramento comunicativo su cui si è formato.
L'assenza dal Parlamento dei tre leader Renzi, Grillo e Berlusconi è un fatto registrato da tempo, ma oggi durante queste votazioni per il Quirinale se ne può misurare il peso. I messaggi, le riunioni, le telefonate, gli incontri, avvengono altrove. Montecitorio è diventato come il Grand Hotel del film: gente che va, gente che viene. Mancano soltanto le porte girevoli. Ma siamo finalmente arrivati al momento della verità. Oggi in diretta televisiva vedremo se, come tutti sperano in nome del diritto alla sorpresa, si registrerà qualcosa di nuovo, qualcosa di inaspettato. Ora il problema è anche quello di non trasferire la frattura decisa da Renzi per rinsaldare il suo partito, sul Quirinale e i futuri rapporti fra capo dello Stato e forze politiche.
I renziani cercano di minimizzare e parlano di
rammendi urgenti. Ma sembra difficile che il trauma tattico non lasci contusioni e danni permanenti sul famoso cammino delle riforme.Ma di questo si parlerà domani, oggi godiamoci lo spettacolo, sempre che ce ne sia uno.
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