Roma - «Se avessimo sostenuto il settore bancario con fondi dello Stato, avremmo aggravato la già precaria situazione dello Stato medesimo, con il probabile default». Il professor Mario Monti con una lettera al Corriere ha voluto rispondere alle critiche (definendole una «ribollita») del premier Renzi che ultimamente taccia spesso i suoi più immediati predecessori (per l'appunto Monti ed Enrico Letta) di sostanziale inattività sul fronte delle sofferenze bancarie. L'ex premier, insolentito dalle accuse («rappresentazioni distorte della realtà»), ha così preso carta, penna e calamaio per sostenere che un aiuto di Stato, ancorché consentito a quel tempo, avrebbe creato «un problema gigantesco».
Monti, che si indispettisce ogniqualvolta venga messo in discussione il suo status di salvatore della patria, ha inoltre affermato che «a parte Mps, per il quale intervenimmo (con i 4,07 miliardi di Monti-bond poi emessi da Letta, ndr) il sistema bancario italiano nel 2011-13 non presentava particolari problemi e non domandava aiuti». Per rimarcare la propria bravura ed esaltare il proprio ruolo di promotore dell'Unione bancaria, il Professore è però caduto in contraddizione. Le misure recessive varate dal governo tecnico per compiacere la Germania produssero un'esplosione delle sofferenze bancarie a partire dalla seconda metà del 2012 salendo in pochi mesi da 107 a 120 miliardi e superando i 130 a inizio 2013 (oggi sono arrivate a quota 200). Tant'è vero che tra la fine del 2012 e l'inizio dell'anno successivo Mediobanca iniziò a pensare a una soluzione di sistema (la bad bank) per affrontare un problema che di lì a poco non sarebbe stato più risolvibile a causa della direttiva sulle risoluzioni bancarie (bail-in). Né il sistema bancario né il governo (che ne era a conoscenza), però, supportarono l'ad di Piazzetta Cuccia, Alberto Nagel.
Matteo Renzi, pertanto, non ha tutti i torti. I suoi errori sono stati altri. In un'intervista a Cnbc ieri ha sottolineato che «Mps senza crediti deteriorati potrebbe essere un'ottima banca per il futuro» e che «l'Italia sta combattendo per evitare il bail-in perché anche un soft-bail in (coinvolgimento dei soli investitori istituzionali e non dei risparmiatori; ndr) potrebbe essere un disastro per la credibilità e la fiducia». L'Italia forse avrebbe potuto ottenere di più dalla Commissione Ue senza ricorrere a stratagemmi come il finanziamento del Fondo Atlante con i risparmi delle Casse previdenziali. Né, tantomeno, rassicura in una fase così delicata per i titoli bancari l'atteggiamento attendista del governo.
«Tutte queste banche, in particolare una così importante, hanno bisogno di ricapitalizzare per il futuro ma questo è il mercato, decideremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi», ha concluso Renzi nel suo claudicante inglese. Il mercato, però, sembra essere impaziente.
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