
"Le intercettazioni mi venne chiesto in tutta fretta di trascriverle, tanto è vero che lo feci in uno o due giorni, perché il dottor Venditti mi disse che gli servivano subito le intercettazioni per fare l'archiviazione". Così il carabiniere Giuseppe Spoto, perquisito e interrogato dieci giorni fa nell'inchiesta bresciana sul lato oscuro delle indagini sul delitto di Garlasco, si giustifica del più vistoso degli elementi che lo chiamano in causa: il buco nero nella trascrizione delle intercettazioni compiute sull'auto di Andrea Sempio, indagato nel 2017 dall'allora procuratore di Pavia Mario Venditti e rapidamente archiviato.
Nei brogliacci stesi da Spoto mancavano tutte le tracce dei soldi pagati dalla famiglia Sempio "a quei signori lì" per ottenere l'archiviazione. Frasi molto chiare vengono liquidate come "incomprensibili". Di altre viene travisato il significato. Per trarsi d'impiccio, ora Spoto dice che fu Venditti a fargli fretta, "gli servivano per fare subito l'archiviazione". Prima ancora di leggere le intercettazioni Venditti aveva già deciso di archiviare l'indagine.
Per gli inquirenti di Brescia che indagano Venditti per corruzione in atti giudiziari, è un tassello importante, che corrobora in loro la convinzione che l'ex procuratore abbia fin dall'inizio lavorato non per accertare l'eventuale colpevolezza del nuovo indagato, indicato come possibile colpevole del delitto attribuito a Alberto Stasi in un rapporto dei carabinieri di Milano, ma per chiudere la pratica più in fretta possibile. La fretta di Venditti diventa ora l'alibi di Spoto per giustificare i buchi nelle trascrizioni, "io le facevo nei ritagli di tempo", dice alla Guardia di finanza e ai carabinieri di Milano che lo interrogano il 26 settembre. Appena prima di lui viene sentito il suo collega Silvio Sapone, al quale viene chiesto di spiegare come mai Sempio al momento dell'interrogatorio sapesse già quali domande gli sarebbero state fatte, e conoscesse atti che non gli erano mai stati depositati: "Non lo so", è la risposta lapidaria di Sapone.
E quando chiedono a lui di spiegare i buchi nelle intercettazioni scarica su Spoto. "Se voi non avevate trascritto alcune intercettazioni e quindi non avete messo a conoscenza il magistrato, come faceva l'autorità giudiziaria e effettuare valutazioni concrete?". Risposta: "Io le intercettazioni non le ho fatte, e comunque non ricordo".
Venditti aveva deciso di archiviare l'indagine a scatola chiusa. È un tassello che si aggiunge a un altro passaggio emerso recentemente: la decisione di Venditti, nel dicembre 2016, di chiedere lumi sui nuovi indizi a carico di Sempio proprio alla Procura generale di Milano, cioè all'ufficio e al magistrato, il sostituto procuratore generale Laura Barbaini, che aveva chiesto e ottenuto la condanna per lo stesso delitto di Alberto Stasi. E che ovviamente risponde a Venditti dicendo che a carico di Sempio c'è il "vuoto probatorio", senza accennare neanche di passaggio al Dna del nuovo indagato trovato sotto le unghie di Chiara Poggi. Certezze che i nove anni trascorsi non hanno scalfito: e ieri in una nota la dottoressa Barbaini torna a rivendicare, "ho ritenuto che gli elementi della relazione delle indagini private ed i relativi allegati non fossero idonei a sostenere la fondata dimostrazione dell'esistenza di un colpevole alternativo al condannato", cioè di Stasi.
Sono le certezze che la nuova inchiesta della Procura di Pavia su Sempio punta a ribaltare, in una partita che sembra destinata a perdere uno dei suoi protagonisti: Massimo Lovati, uno dei difensori del nuovo indagato, al centro delle polemiche per
le sue esternazioni mediatiche e sotto procedimento disciplinare: "Ho deciso di prendermi qualche giorno prima di decidere se confermare o meno l'avvocato Lovati", dice ieri il padre di Sempio. Ma la strada pare segnata.