"Non scrivo di attualità perché nei romanzi serve sempre una fine..."

L'autore bestseller Ken Follett parla del nuovo libro "Il cerchio dei giorni" in cui immagina la nascita di Stonehenge

"Non scrivo di attualità perché nei romanzi serve sempre una fine..."

Cresciuto in una famiglia rigidamente protestante - senza tv, radio, concerti o alcool, da ragazzo chiese al padre: "Che cos'è un Martini?" - Follett divorava Shakespeare e James Bond. Oggi, dopo che - con 38 libri pubblicati, 198 milioni di copie vendute in oltre 80 paesi e traduzioni in 40 lingue - Ken Follett è diventato uno dei narratori più amati al mondo, continua a sottoporre le bozze ad amici e parenti: "Se qualcuno dice Mi sono annoiato al capitolo 3, lo prendo molto sul serio". A 76 anni, dopo aver creato la monumentale saga di Kingsbridge - che con I pilastri della terra (1989) e i suoi sequel ha superato i 50 milioni di copie - l'autore britannico si concentra su un simbolo della storia umana: Stonehenge. Il cerchio dei giorni (Mondadori, traduzione di Annamaria Raffo, pagg. 704, euro 27) trasporta il lettore indietro di 4500 anni, in un'epoca preistorica in cui Seft, giovane cavatore di selce, e Joia, sacerdotessa visionaria, si alleano per costruire il cerchio perfetto, il più grande del mondo, in pietra. Ma siccità, guerra, violenza e rivalità sono in agguato. Follett a Milano oggi, al Teatro Carcano, ore 18.30, per presentare il romanzo - ha percorso in lungo e in largo Salisbury per interiorizzare la geografia e immaginare i movimenti necessari a tirar su il gigante del Neolitico, ma soprattutto è rimasto folgorato da How to build Stonehenge, dell'archeologo Michael W. Pitts. Al punto da pensare, leggendolo: "Sembra un libro di Ken Follett".

Cattedrali, ponti, ora Stonehenge: che cosa la affascina nella narrazione del costruire o del radunarsi intorno a ciò che si costruisce?

"Costruire qualcosa nei romanzi è sempre un'ottima idea. All'inizio di questa vicenda ci sono due personaggi che decidono di costruire qualcosa. Poi si inseriscono diverse vicende, passi indietro, ma anche trionfi e svolte, e alla fine riescono nella prova. Porre una missione al centro di una trama serve a darle forma. Per giunta ammiro le persone che sono in grado di costruire qualcosa con le loro mani: io sono totalmente incapace. Non so piantare un chiodo nel muro, figuriamoci montare una libreria".

Costruire Stonehenge è stata anche una impresa spirituale.

"Molto spesso nella storia dell'umanità un edificio che viene costruito rappresenta un processo spirituale. Vale per una cattedrale, ma anche per un ponte, per il desiderio delle persone di potersi spostare o fuggire da una situazione negativa".

Che tipo di obiettivo spirituale accosterebbe a Stonehenge?

"La lotta per l'identità: quegli uomini pensavano che un monumento sarebbe durato e hanno desiderato che fosse visibile a milioni di persone forse non riuscivano a contare in milioni, diciamo migliaia. Presentandolo al mondo presentavano loro stessi: questo è uno dei molti aspetti spirituali che comporta questo tipo di edificio. Molti archeologi sono convinti che prima del monumento in pietra a Stonehenge ce ne fosse uno di legno. L'ipotesi mi è parsa sensata e credibile: le persone della mia storia vogliono ricostruire in pietra un monumento esistente - tra le ragioni c'è il fatto che un monumento in legno è soggetto agli incendi - non costruirne uno nuovo. Anche se a noi piace pensare al grande evento dirompente, le vicende nella storia si svolgono in maniera graduale".

Nel libro ci sono tre gruppi di persone - costruttori, pastori, abitanti del posto - che nonostante gli sforzi finiscono per combattere. Al centro, la disputa per una parte di terra contestata, da cui nasce una guerra.

"È triste, ma la guerra c'è sempre stata. Sappiamo che ne fecero, nell'Età della pietra, perché gli archeologi hanno trovato, in alcuni siti, fino a mille punte di freccia. Ora, se in un sito trovi 50 o 100 punte di freccia può esserci stata una partita di caccia, ma se sono mille l'unica spiegazione è la battaglia. I resti ritrovati ci dimostrano anche che in tutti i tempi storici gli esseri umani hanno ucciso altri esseri umani con violenza, come si stabilisce dal tipo di fratture. Non ci sono tuttavia prove di battaglia a Stonehenge: pochi gli scheletri ritrovati, non è mai stato un cimitero, mentre ci sono tracce di sepolture di ceneri, quindi di cremazioni".

Questo romanzo ha richiesto due anni di lavoro.

"Ogni romanzo storico consta di dati fattuali e poggia sul mondo reale, a differenza dei draghi dei romanzi di fantascienza: basandosi su questo, l'autore immagina alcune vicende. L'unica differenza con l'Età della pietra è che la base fattuale è molto ridotta, quindi ci vuole più immaginazione".

Dopo Triple, la questione israelo-palestinese potrebbe tornare nei suoi libri?

"Nella finzione, le vicende devono arrivare a una risoluzione: non per forza un lieto fine, ma una conclusione, uno scioglimento ci devono essere per forza. Per questo penso che non sia possibile, almeno per me, scrivere un romanzo che riguardi eventi politici in corso: non sappiamo quale sarà la fine".

Che scioglimento si aspetta lei come europeo e britannico?

"Spero nella pace, come chiunque di noi, ma è quello che spero ed è una fantasia. A Gaza in questi anni sono state poste le fondamenta per nuove guerre e nuovo terrorismo: tutta una generazione di maschi e ragazzini è cresciuta nell'odio verso Israele e gli israeliani. Non avranno un lavoro e tutto quello che desiderano fare è ammazzare ebrei. In Medio oriente un atto di violenza ne genera sempre un altro. Per parlarne in modo meno triste, ecco una storiella: un cammello e uno scorpione desiderano attraversare il Mar Rosso. Il cammello dice: Saltami in groppa, che ti dò un passaggio. Lo scorpione dice: Come fai a sapere che non ti pungerò?. Perché se mi pungi moriamo entrambi affogati. A metà strada, in mare, lo scorpione punge il cammello. Mentre muoiono, il cammello dice: Perché l'hai fatto?. E lo scorpione risponde: Siamo in Medio oriente. Black humour".

Lei è molto letto e amato: deluso che il suo nome non sia legato al Nobel?

"Il mio scopo come scrittore è scrivere storie che i lettori amino e leggano fino alla fine per puro godimento. Il Nobel va ad autori che producono romanzi letterari, alti, intellettuali: se ci provassi io, a pagina 5 entrerebbe in scena un tizio armato di fucile e rovinerebbe tutta la trama. Non è che questo mi faccia soffrire o mi tormenti.

Sono contento di scrivere ciò che scrivo: buoni, validi, godibili romanzi popolari. Non ho altro in agenda, non sono un professore, non ho nulla da insegnare. Quindi, se non ci sono aspettative, non può esserci delusione".

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