«Non ci sono due pesi e due misure». Il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, ha negato che la Commissione Ue sia più indulgente nei confronti dei nostri «cugini» d'Oltralpe e, se lo dice il titolare del Tesoro, c'è da fidarsi.
Ieri la polemica sulla disparità di trattamento in sede europea tra Italia e Francia è stata rinfocolata da un'intervista concessa a Le Parisien, dal commissario Ue agli Affari economici, Pierre Moscovici, già ministro delle Finanze con François Hollande all'Eliseo. Il paragone con l'Italia «è allettante ma sbagliato perché sono due situazioni totalmente diverse», ha dichiarato Moscovici a proposito dell'elevata probabilità che Bruxelles dia luce verde alle spese aggiuntive per circa 10 miliardi di euro che Emmanuel Macron ha promesso per placare le proteste dei gilets jaunes. «La Commissione europea sorveglia il debito italiano da tanti anni», cosa che invece non ha «mai fatto» per la Francia.
Al di là dell'urticante sciovinismo proprio di ogni francese (indipendentemente dalla posizione ricoperta), Moscovici non può essere contraddetto, a differenza di quanto Luigi Di Maio e Matteo Salvini tentarono di fare nei giorni successivi alla presentazione della manovra del popolo. Ci sono due numeri dei quali tenere conto e che pongono l'Italia in una condizione di triste subalternità. Il primo è rappresentato dal Pil: a Parigi vale circa 2.300 miliardi di euro, medaglia di bronzo del Continente dietro Germania e Gran Bretagna, ma soprattutto oltre 500 miliardi in più di quello italiano. Questa sproporzione fa sì che la mole del debito pubblico (poco sopra i 2.200 miliardi) sia decisamente più gestibile, ancorché prossima a quello italiano, in quanto rappresenta il 98% circa del Pil a differenza del 131,8% registrato a Roma alla fine del 2017.
Il miglior tasso di crescita (+1,9% nel 2017, +1,8% atteso quest'anno e +1,7% il prossimo) consente al ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, e al presidente Macron di presentare un budget con un rapporto deficit/Pil ben peggiore di quello italiano. Con le nuove promesse si potrebbe arrivare al 3,5% nel 2019 ma la manovra transalpina presenta un miglioramento del saldo strutturale di 0,2 punti di Pil, mentre quella italiana nella prima versione lo peggiorava dello 0,8% a fronte della promessa di ridurlo dello 0,6. Prescindendo dai contenuti opinabili del ddl di Bilancio, Salvini non ha tutti i torti quando sostiene che per uno «zero virgola» non si può peggiorare la vita della gente. Il problema, come si vede, è la differente base di partenza che rende impraticabile a qualsiasi governo italiano ogni movimento «politico» di spesa. A differenza di Parigi che, per contro, può permettersi una spesa pubblica al 56% del Pil in virtù di una maggiore pressione fiscale (48,4% contro 42,4%).
«Mi occupo dell'Italia e mi interessa portare a casa questo negoziato con una soluzione positiva», ha detto il premier Giuseppe Conte, interpellato ieri in merito a queste discrepanze. Anche il presidente del Consiglio è ben conscio che in sede europea l'Italia è costretta da questi rapporti di forza, puramente numerici, a recitare a parte del vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro.
Anche i mercati, da questo punto di vista, non ci sono troppo amici visto che l'Oat francese decennale ha uno spread sul Bund di 46 punti base, mentre noi dobbiamo celebrare la discesa a 274 punti del differenziale tra il Btp e il pari durata tedesco. La Francia, quindi, può permettersi un trattamento «eccezionale». Al limite, si poteva contenerne in passato l'indisciplina sul deficit ma l'andare a braccetto con Berlino le ha giovato
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