Era stato scomunicato dal Pd e si era difeso scaricando le responsabilità sul partito: «Non so nulla di quei soldi, chiedete a loro». L'ex sindaco di Venezia Giorgio Orsoni pareva con le spalle al muro. E invece, tre anni dopo essere finito agli arresti domiciliari, Orsoni viene assolto al termine di un estenuante processo allungatosi come un elastico per 32 udienze. Non è l'unico colpo di scena che chiude la vicenda giudiziaria nota come Tangentopoli del Mose.
L'ex ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli viene riconosciuto colpevole di aver intascato dall'onnipresente Consorzio Venezia Nuova mazzette in contanti per circa 550mila euro ed è condannato a 4 anni. Una delle pene più alte in un procedimento che ha visto molti imputati uscire di scena prima, scegliendo la strada soft del patteggiamento. «Non sono un corrotto», la difesa dell'ex ministro.
Sono passati tre anni da quando la Procura di Venezia scoperchiò lo scandalo, facendo rotolare molte teste eccellenti, a cominciare dall'ex governatore della Regione e leader di Forza Italia Giancarlo Galan. E il tempo, sul filo della prescrizione, ha dato una mano a Orsoni la cui vicenda fotografa i paradossi del nostro sistema giudiziario.
In quell'estate del 2014, in piena tempesta, si scopre che il dominus del Consorzio Giovanni Mazzacurati ha pagato pure lui. Circa 400mila euro in nero e altri 70mila in bianco, dietro il paravento di aziende che lavoravano al Mose, il gigantesco sistema di paratie mobili che presto dovrebbe entrare in funzione e salvare la città dall'acqua alta.
Orsoni non è un grigio funzionario di partito: no, è un brillante avvocato amministrativista, uno dei più noti d'Italia, la classica testa d'uovo prestata alla politica. In questo caso, alla sinistra che nel 2010 l'ha candidato sindaco, contro Renato Brunetta, e l'ha portato trionfalmente alla vittoria. Ma l'indagine del pool guidato da Carlo Nordio, oggi in pensione, non risparmia nessuno, nemmeno lui. Orsoni finisce per una manciata di giorni ai domiciliari, nello splendido palazzo affacciata sul Canal Grande, proprio di fronte al municipio. La sua difesa è in linea con il personaggio: lui non si occupava di finanziamenti, meglio chiedere al gruppo dirigente del Pd veneto. Un filone che non porterà da nessuna parte. Ma intanto nel partito è tutta una corsa ad abbandonarlo al suo destino: Luca Lotti e Debora Serracchiani lo scomunicano. Orsoni non si dà per vinto: torna a Ca' Farsetti, sede del municipio, e prova a resistere. Non ce la fa: se ne va fra rancori e polemiche. Venezia è commissariata. Sembra incredibile, l'ormai ex primo cittadino prova pure a patteggiare, ma la pena proposta, 4 mesi, viene bocciata perché ritenuta troppo bassa. È la sua fortuna.
Ora arriva il verdetto che
lo riabilita: non c'è la prova che Orsoni conoscesse la provenienza di quei soldi. Mano pesante del tribunale, invece, per Matteoli che però era accusato di corruzione: per lui 4 anni e 9 milioni e 750mila euro da pagare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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