Mosul, via all'offensiva. Obiettivo liberare la "capitale" dell'Isis

Scoppia il caso dei video postati su Facebook con abusi delle forze regolari sui prigionieri

Mosul, via all'offensiva. Obiettivo liberare la "capitale" dell'Isis

L'artiglieria anche americana e francese ha cominciato a martellare all'alba. I caccia della coalizione internazionale lanciano raid mirati sui capisaldi delle bandiere nere per appoggiare le truppe irachene che avanzano sul terreno. La battaglia più dura e sanguinosa è iniziata ieri alle prime ore del mattino. L'obiettivo è liberare del tutto Mosul, la «capitale» dello stato islamico in Irak. Dopo quattro mesi di aspri combattimenti le forze irachene hanno circondato completamente la città e conquistato la parte Est arrivando fino al fiume Tigri, che la divide in due. La nuova offensiva punta da Sud a conquistare l'aeroporto per poi concentrarsi sulla parte Ovest di Mosul, la più ampia e popolosa. Quattromila volontari stranieri della guerra santa, compresi europei, sono decisi a combattere fra le macerie della loro folle Berlino come le SS di Hitler. A Mosul Ovest l'obiettivo più simbolico è la grande moschea Al Nuri, dove Abu Bakr Al Baghdadi nel 2014 ha proclamato il Califfato. Si trova appena oltre il Tigri, ma è circondata dalla città vecchia, un dedalo di viuzze dove sarà durissimo avanzare. Nelle ultime settimane colonne di camion del genio con i pontili galleggianti sono stati fotografati mentre si dirigevano su Mosul.

Per ora la prima direttrice d'attacco punta all'aeroporto a Sud della città. Nelle giornata di ieri sono stati riconquistati 6 villaggi compreso Adhba e Al Lazaka vicini allo scalo e alla base militare al Mulasaqa in mano alle bandiere nere. Ieri mattina con una breve apparizione in tv il premier iracheno Haidar al Abadi ha annunciato «l'inizio di una nuova alba per liberare Mosul e la sua popolazione dall'oppressione di Daesh per sempre».

Al fronte operano un centinaio di consiglieri dei corpi speciali occidentali soprattutto americani, inglesi e francesi. Specialisti che indirizzano gli attacchi aerei e i tiri dell'artiglieria per evitare il più possibile vittime civili. Le forze aeree irachene hanno lanciato migliaia di volantini invitando la popolazione a fuggire o mettersi al riparo. «Le famiglie nella zona Ovest di Mosul ci dicono che scappare non è un'opzione. Se cercano di fuggire rischiano esecuzioni sommarie da parte dei combattenti dell'Isis o di rimanere vittima di franchi tiratori o mine», spiega Maurizio Crivallero, direttore per l'Irak di Save the Children. L'Ong ha lanciato l'allarme per i 350mila bambini intrappolati nella città. Nei distretti occidentali vivono 800mila civili utilizzati come scudi umani dalle bandiere nere. L'Onu si attende mezzo milione di sfollati.

Per stringere l'assedio sono impiegati circa 100mila uomini fra forze armate irachene, peshmerga curdi schierati a Nord e le milizie sciite, che chiudono la via di fuga verso la Siria. La Golden division irachena, le forze antiterrorismo e della polizia federale addestrate anche dai corpi speciali italiani e dai carabinieri hanno subito il grosso delle perdite. Si parla del 25 per cento degli effettivi.

Triste, ma non stupisce, che proprio nelle ultime ore il quotidiano inglese Guardian abbia tirato fuori dei video postati su Facebook che riprendono uomini delle forze di sicurezza irachene che maltrattano dei prigionieri, in gran parte giovani. Si tratta di seguaci dello Stato islamico e pure di un ragazzino catturato prima di farsi saltare una aria. Dopo le botte tre vengono giustiziati sul posto. Altri sono costretti ad abbaiare come cani o belare. Il governo iracheno ha ordinato un'inchiesta, ma sospetta che i video non siano autentici. Per due anni i tagliagole del Califfo hanno torturato o passato brutalmente per le armi i prigionieri filmando tutto per pubblicarlo in rete.

Secondo Arkan Alazy, un fratello ucciso dalle bandiere nere, «anche se dello Stato islamico sono ancora esseri umani. Fratelli per favore non deturpate la reputazione di esercito e polizia. Noi non ci comportiamo come Daesh. I prigionieri vanno trattati in modo diverso. Non siamo criminali come loro».

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