Politica

Mubarak libero chiude le primavere arabe

Il presidente torna nella sua villa dopo sei anni di carcere. Finisce una stagione

Hosni Mubarak durante un'udienza il 26 aprile 2014
Hosni Mubarak durante un'udienza il 26 aprile 2014

In attesa di ottenere la verità sulla morte di Giulio Regeni (speranza che pare destinata a restare appesa nel limbo in cui fluttuano i fantasmi delle primavere arabe tradite) registriamo oggi la liberazione dal carcere di Hosni Mubarak. L'ex presidente ha lasciato l'ospedale militare di Maadi, dove era detenuto da sei anni, ed è tornato nel suo palazzo di Heliopolis. Lo avevano accusato di corruzione (accusa ridicola e vergognosamente ipocrita in un Paese in cui il bakshish, la mancia, non si nega a nessuno, dall'ultimo bidello di paese fino ai più alti papaveri dello Stato). E per essere sicuri di tenerlo fuori dalla scena politica per un congruo lasso di tempo gli avevano appioppato anche l'accusa di aver fatto eliminare 239 oppositori nella rivoluzione del gennaio 2011. Accuse rivelatesi incongrue, strada facendo, e difficili da dimostrare. Sicché alla fine, dopo che la primavera di piazza Tahrir si è dissolta nel nulla, portandosi dietro i sogni di una generazione che davvero pensava all'avvento di una democrazia somigliante, anche se all'ingrosso, a quelle occidentali, la restaurazione dell'antico si è chiusa in modo perfetto. Dimostrando che l'unica «democrazia» possibile, nella costellazione degli Stati Arabi dell'intero Maghreb è ancora oggi quella incarnata da un uomo forte al comando.

Ieri Mubarak, appoggiato dagli Stati Uniti per decenni come baluardo agli estremismi islamici nordafricani. Oggi, dopo la catastrofica, sanguinosa parentesi rappresentata dalla «democrazia islamica» di Mohammed Morsi, espressione dei Fratelli Musulmani, l'Egitto è tornato nelle mani di un altro raìs, il generale Abdel Fatah al Sisi. Sicché si potrà dire lo diranno i seguaci del vecchio «faraone» Mubarak, oggi 88enne, e lo diranno i suoi detrattori - che tutto è cambiato perché tutto tornasse come prima.

La vicenda del nostro Giulio Regeni è esemplare in questo senso. L'Egitto di Mubarak era un Paese corrotto in cui i diritti civili erano spesso allegramente ignorati in virtù di quello stato di emergenza contro il terrorismo promulgato nel 1981 e da allora procrastinato a tempo indeterminato. E il colpo di stato del generale al Sisi, che nel luglio del 2013 pose fine alla catastrofica gestione del potere da parte dei Fratelli Musulmani, dice che i tempi non sono ancora maturi per un definitivo affrancamento del Paese dal guanto di ferro dei militari.

Dalle terrazze della sua villa di Heliopolis, Hosni Mubarak vedrà la stessa metropoli di sempre, sullo sfondo. Disoccupazione alle stelle, un rilancio economico sempre annunciato ma mai partito davvero, inflazione, investimenti esteri non sufficienti; e per contro un apparato di polizia e di spionaggio ferrigni, su cui aleggia la regia non sempre invisibile della Russia e degli Stati Uniti.

Mentre sullo sfondo ribolle un estremismo islamico che oggi, dopo la stagione dei Fratelli Musulmani, paragonabili rispetto al tempo presente alla Dc di Cirino Pomicino, si incarna nelle cellule legate all'Isis.

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