Napolitano ha deciso: non scioglierà le Camere Ma prepara la strigliata

Re Giorgio "contrarissimo" alla fine anticipata della legislatura. Pronto però un duro discorso di commiato per le riforme promesse e non fatte

Napolitano ha deciso: non scioglierà le Camere Ma prepara la strigliata

Vestito grigio e niente cappotto. Con la sinistra tiene un pacco piuttosto ingombrante, con la destra un bastone al quale ogni tanto s'appoggia. Giorgio Napolitano è rimasto parecchio nella gioielleria Angeletti, ci ha messo tre quarti d'ora per scegliere il regalo per sua moglie Clio, che oggi compie ottant'anni, ma adesso eccolo che cammina abbastanza spedito per via Condotti, come per smentire l'«affaticamento». Un piede dopo l'altro, si fa tutti i duecento metri fino a largo Condotti dove lo aspetta un Suv per riportarlo al Quirinale.

Mao si era fatto una nuotata nelle acque dello Yangtze. Il presidente passeggia per il centro di Roma, tra turisti che scattano foto, bottegai che si affacciano e passanti che lo salutano, ma il messaggio è lo stesso: la situazione è talmente «normale» e sotto controllo, io sono talmente nel pieno dei poteri, politici e fisici, che me ne vado a fare shopping. Qualche sorriso, poche parole. Ci prova solo una giornalista del Fatto a rivolgere una domanda. Subito stroncata: «Non faccio ulteriori commenti».

E in effetti non c'è molto da aggiungere perché tutto è stato deciso. Procedura, periodo, modalità, persino l'arredamento di Palazzo Giustiniani, dove ha fatto sostituire delle cupe tele secentesce con delle gouaches napoletane. Tutto tranne la data. Quella però resterà segreta, forse neanche lui la conosce. Comunicarla in anticipo, preannunciarla, significherebbe dare una scadenza al mandato presidenziale, aprire un «bimestre bianco» con conseguente vuoto di potere. Invece, come è scritto nella nota di domenica, Napolitano vuole restare «nella pienezza di tutte le funzioni attribuite dalla Costituzione».

Tra le tante prerogative c'è quella di sciogliere le Camere e indire elezioni anticipate, e infatti negli ultimi giorni in Parlamento si è molto almanaccato sulle conseguenze delle dimissioni anticipate di King George sul governo e sulla legislatura. Ma il capo dello Stato non ha nessuna intenzione di suonare ancora la campanella. «Sono e resto contrarissimo», ha ripetuto a chi l'ha sentito. Ci penserà, semmai, il prossimo.

Poi però c'è un altro potere nelle mani di Napolitano, l'arma finale, il messaggio alle Camere. Il presidente della Repubblica, nel momento in cui rinuncerà all'incarico, potrebbe decidere di mettere «sotto processo» una classe politica buona solo a litigare e incapace di far partire quelle due o tre riforme basiche che l'Italia aspetta. Potrebbe insomma costringere i partiti a esporre i classici panni sporchi davanti ai cittadini.

Non sarebbe una sorpresa. Del resto, fanno notare al Quirinale, una cosa del genere Napolitano l'aveva promessa o minacciata già un anno e mezzo fa davanti al Parlamento riunito, durante il discorso d'insediamento-bis. Dopo mesi di stallo, i principali leader erano saliti sul Palazzo dei Papi chiedendogli «un sacrificio». Lui aveva accettato, a due condizioni. La prima riguardava l'età: «Resterò finché ne avrò le forze».

La seconda era politica. Il secondo mandato avrebbe dovuto accompagnare una legislatura di riforme: «Se non sarete capaci, me ne andrò». Sono passati diciotto mesi e di quel programma sono rimasti solo cocci.

Il governo a della larghe intese si è liquefatto, il caso Berlusconi è deflagrato, le riforme renziane sono impantanate e sul lavoro nel Paese c'è un clima di scontro sociale. Se il patto del Nazareno non riprenderà fiato e porterà risultati, ce n'è abbastanza per prendere tutti a schiaffi e sbattere la porta.

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