Napolitano ha già deciso: addio al Colle il 14 gennaio

Il capo dello Stato non vuole farsi invischiare in giochetti politici Italicum, riforme e corsa al Quirinale: quanti grattacapi per Renzi

Napolitano ha già deciso: addio al Colle il 14 gennaio

No, non aspetterà frau Merkel, non ci sono appuntamenti, nessuna visita di congedo il 22 al Quirinale: la cancelliera non verrà nemmeno a Roma, ma se ne andrà a Firenze, dove Matteo Renzi cercherà di ammorbidirla sul rigore aprendole Palazzo Vecchio, offrendole una cena a base di Chianti e chianina e mostrandole il David di Michelangelo. E a quanto pare neppure la richiesta di attendere almeno un paio di giorni, giusto per vedere come iniziano le votazioni sull'Italicum, verrà accolta: Giorgio Napolitano si dovrebbe dimettere mercoledì 14, il giorno dopo la conclusione formale del semestre europeo.

Manca, ovviamente, solo l'ufficialità, ma la decisione è stata presa. Dunque, niente tempi supplementari perché il capo dello Stato, una volta fatta la scelta, non ha intenzione di farsi invischiare nei giochetti politici. Se accettasse infatti di rimandare l'uscita dal Colle anche per un buon motivo, poi di motivi buoni per altri allungamenti ne spunterebbero ancora tanti. Su questo punto, nel discorso di Capodanno è stato molto chiaro: rimettere il mandato è «una valutazione personale, costituzionalmente rimessa al solo presidente, tale da non condizionare in alcun modo governo e Parlamento nelle scelte che hanno dinanzi né subendone alcun condizionamento».

La decisione di Napolitano fa un po' di chiarezza, spazzando dal campo i calcoli sulle date e sugli intrecci istituzionali. Il 13 Renzi sarà a Strasburgo dove parlerà davanti al Parlamento europeo e traccerà un bilancio del semestre italiano. Il giorno stesso il Senato, se non ci saranno intoppi, dovrebbe cominciare a votare l'Italicum: ci vorrà una settimana abbondante e si arriva così al 22-23. Se Re Giorgio abdicherà il 14, il 29 dovrebbe svolgersi il primo scrutinio per il nuovo capo dello Stato. Intanto la conferenza dei capigruppo di Montecitorio ha deciso che il voto finale, in seconda lettura, del disegno di legge sulla riforma del Senato non potrà andare in porto prima di venerdì 23, secondo giorno del vertice italo-tedesco a Firenze.

Le due partite, riforme e Quirinale, sono quindi legate a doppio filo, impossibile giocarne una e rimandare l'altra. Renzi l'ha capito da tempo ed è per questo che si tiene coperto e rimanda per quanto possibile il lancio del suo candidato per il Colle. Niente nomi adesso, un po' per una forma di riguardo nei confronti di Napolitano che è tuttora in carica, un po' per non dare vantaggi agli avversari. In realtà in privato di nomi ne ha fatti tanti per misurare le reazioni, stanare i veti e fare del fumo prima di giocare la carta finale. Il dodicesimo presidente, dice, dovrà essere «per le riforme, di garanzia, eletto da un'ampia maggioranza».

Né passacarte, né giustiziere. In questo quadro l'ipotesi di Romano Prodi fatta da Bersani viene vista come una mossa tattica, una provocazione. E nei tam tam cominciano a fiorire le rose che il premier avrebbe offerto al Cavaliere. Quella più gettonata comprenderebbe Mattarella, Finocchiaro, Veltroni, Castagnetti e Fassino. La trattativa è aperta, entrerà nel vivo la prossima settimana. «Noi non escludiamo un candidato del Pd - spiega Lucio Malan - però serve una condivisione». E Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali al Senato, andrebbe bene.

«Per la sua lunga e importante esperienza in Parlamento e nel confronto con i colleghi - dice il senatore di Fi - in un contesto dove non c'è la logica di un uomo o una donna sola al comando, è una persona che potrebbe rientrare tra le possibilità. Ma più nomi si fanno, più si bruciano».

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