Napolitano si sveglia e attacca la Germania

Al vertice italo-tedesco il presidente invita i politici di Berlino ad abbandonare "luoghi comuni" e "valutazioni sprezzanti"

Napolitano si sveglia e attacca la Germania

Italian job? Sì, se c'è del marcio in Danimarca, figuriamoci dalle nostre parti, tanto più adesso che è esploso lo scandalo di Mafia Capitale. Ma finitela «con i cliché» e i «luoghi comuni», perché l'Italia è «credibile» e non ha «vizi» di forma. Corruzione, antipolitica, crescita zero, deficit, la Troika forse dietro l'angolo: se la lista dei problemi s'allunga, questo non significa che il Belpaese sia allo sbando, anzi, sta facendo le riforme e trovando «le soluzioni». Insomma, dice Giorgio Napolitano, ce la faremo. Basta con gli esami, con «la diffidenza» e «le valutazioni sommarie». La Germania si dia una calmata.

Bandiere, inni, un piccolo bagno di folla all'ingresso del Teatro Regio, dove alle sette di sera inizia il vertice italo-tedesco, le foto con il presidente Gauck. Poi il capo dello Stato prende la parola e il suo non è solo un esorcismo, una difesa di bandiera o un aiuto al governo Renzi, e nemmeno un sussulto nazionalistico. Piuttosto, il tentativo di segnare un confine, di indicare un limite oltre il quale tra partner non si può andare perché dalla crisi si esce insieme e non imponendo una ricetta unica. Vale, spiega, nei due sensi: Berlino non è un gendarme cattivo e Roma non è l'alunno indisciplinato. Ma, al di là della forma, del doppiopesismo diplomatico imposto dall'occasione, è la Germania che deve scendere dal piedistallo.

Tanto per cominciare, dice ancora Napolitano, servirebbe un po' di autocritica collettiva in quanto «c'è stata una complessiva inadeguatezza a padroneggiare le implicazioni dell'adozione dell'euro e di una politica monetaria sovranazionale». Nessuno infatti può negare che, oltre «al riequilibrio e al risanamento delle finanze pubbliche», ora bisogna «rilanciare la crescita ponendola su basi di maggiore competitività delle nostre economie».

E se l'analisi sui problemi è concorde, non ci possiamo poi dividere «su come focalizzare le politiche economiche, su quali strumenti di intervento privilegiare». Cioè, insiste Napolitano, serve «un confronto complesso e serio», non «polemiche unilaterali e contrapposizioni paralizzanti».

Invece è proprio quello che succede adesso, quando si vuole mettere l'Italia sotto esame o sotto tutela perché affetta «da vizi organici o malattie ricorrenti» e quando si pensa che la Germania sia solo rigore. Non banalizziamo, dice il presidente. «Liberiamoci, cari amici, di queste fuorvianti tendenze alle valutazioni sprezzanti. E il peggio è considerare non credibili le posizioni dell'altro, perché la diffidenza reciproca è un micidiale fattore dissolvente. Le difficoltà ci sono, i dissensi anche, superiamoli con una discussione che non smarrisca mai il senso del limite».

E attenzione, perché questa «diffidenza» ci espone al rischio di «ricadute nazionalistiche». Qui il paragone si fa pesante: «Non bisogna solo pensare a quello bellicistico, ma un nazionalismo che già si avverte nel porre l'interesse del proprio Paese, e le politiche che esso detta, al di sopra del comune interesse europeo». In conclusione, senza dialogo non c'è Europa. L'Unione, dice Napolitano, con le elezioni in primavera ha superato e sconfitto «le derive del populismo e dell'antieuropeismo che hanno trovato fertile humus nella crisi» e ha rinnovato le sue istituzioni. «Il governo italiano ha ben accompagnato questo decollo, contribuendo al raggiungimento di soluzioni unitarie per il varo della nuova Commissione».

E Renzi, sostiene, ha imposto la sua linea: «Abbiamo posto con eguale nettezza all'ordine del giorno del semestre un deciso avanzamento nel necessario processo di riforme interne, nel rispetto delle regole di bilancio, e il contributo all'avvio di un nuovo corso delle politiche dell'Unione in funzione del superamento della crisi». Berlino lo sa?

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