A forza di rovesciar tavoli, Donald Trump ha creato un effetto imprevisto, e forse neppure tanto desiderato: ricementare l'intesa tra la Germania e Mario Draghi. Fino a quando la furia iconoclasta del tycoon sembrava solo uno slogan elettorale, tra Berlino e il capo della Bce era ancora tutto uno sguainar di spade sulla liceità del quantitative easing, con tanto di dibattito sull'inflazione più aspro di una rissa da bar sull'efficacia difensiva del 4-3-3. All'inizio dello scorso dicembre, Jens Weidmann, il potente presidente della Bundesbak, ancora timbrava con il suo bel nein il documento che ha prorogato fino alla fine dell'anno il piano di aiuti dell'Eurotower. Ma dopo due mesi scarsi, ecco il banchiere tedesco prodursi in un'inversione a U francamente impensabile: «Non è ancora venuto il momento di frenare sulla politica espansiva della Bce», svela in un'intervista alla rete editoriale Redaktionsnetzwek. Il tapering, cioè la ritirata dagli stimoli così come ripetutamente chiesto dalla Germania, può dunque attendere: «Quando la ripresa si consolida e l'aumento dell'inflazione non è più di natura temporanea, dobbiamo discutere attentamente di questo tema». Un Weidmann così perfettamente allineato a Draghi non s'era mai visto. C'è perfino convergenza sull'aumento dei prezzi, attribuito ora anche dalla Buba a fattori non strutturali.
Weidmann è la perfetta cartina di tornasole del mutato clima fra l'ex governatore di Bankitalia e Berlino. La seconda prova è il fatto che da qualche giorno un altro falco come il ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, si è auto-silenziato. I tedeschi sembrano aver deposto le armi nei confronti di Draghi, che però non può cantar vittoria. La posta in gioco non è più infatti la gestione della crisi greca o del debito sovrano, nè i compiti da fare a casa e neppure il futuro del Qe, ma la sopravvivenza dell'euro. Negli ultimi 10 giorni Draghi è intervenuto più volte per ribadire fino alla nausea la centralità della moneta unica e la necessità di una maggiore integrazione tra i Paesi europei. In caso contrario, il pericolo di disgregazione è alto. Meglio stare uniti per essere più forti, è il pensiero del numero uno della Bce, che oggi incontrerà nella capitale tedesca la Cancelliera Angela Merkel. Un rendez-vous che nasce sotto la stella di un'unità d'intenti destinata a produrre un'alleanza forte e salda. Contro un nemico in comune: Trump. Il protezionismo non più solo minacciato da Washington inquieta Draghi e terrorizza - in chiave export - la Germania, direttamente chiamata in causa dal neo-presidente Usa con l'accusa di aver fatto dell'euro un marco mascherato e super-svalutato («Non manipoliamo la moneta», la replica del leader dell'Eurotower). C'è poi l'aspetto della deregulation dei mercati finanziari, con l'affossamento delle misure varate da Obama, «l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno», ha detto il leader dell'Eurotower qualche giorno fa. Un quadro reso oltremodo complicato dai prossimi appuntamenti elettorali, a cominciare dal voto francese già fonte di nervosismo sui mercati.
La possibilità che Marine Le Pen possa varcare la soglia dell'Eliseo ha concorso a riportare nei giorni scorsi lo spread Btp-Bund sopra i 200 punti (194 ieri). Poi toccherà alla Germania andare alle urne, nel test che sarà la vera prova di resistenza dell'asse Draghi-Merkel.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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