Navalny accusa i servizi russi: "Ho nomi e foto dei miei killer"

Il nemico numero uno di Putin parla dall'ospedale di Berlino: "Ricostruite le identità dei tre agenti Fsb"

Navalny accusa i servizi russi: "Ho nomi e foto dei miei killer"

Più cercano di farlo fuori e più lui alza il tiro. Aleksei Navalny, il nemico numero uno di Vladimir Putin e del suo poco raccomandabile clan di potere, non è il tipo che si lascia intimidire da infiniti arresti e vessazioni e da un tentativo di assassinarlo (pare reiterato nel giro di un paio di giorni) con il terribile gas nervino novichok.

A quasi quattro mesi dall'avvelenamento su un volo interno in Russia, Navalny è ancora in riabilitazione a Berlino, sotto protezione della polizia tedesca, ma non molla l'osso. Anzi, rilancia. «So chi voleva uccidermi so dove vivono scrive sul suo blog -, dove lavorano. Conosco i loro veri nomi e quelli di copertura. Ho le loro fotografie». Accuse precise, circostanziate, frutto di un'inchiesta condotta dal suo Fondo anti-corruzione (quell'Fbk che non dà tregua ai corrotti compari dello «zar» del Cremlino denunciandone ruberie e illegalità) in collaborazione con il sito Bellingcat, The Insider, la tv americana Cnn e il settimanale tedesco Der Spiegel, che due mesi fa ha pubblicato un'implacabile intervista al sopravvissuto più famoso di Russia. In essa, Navalny aveva già puntato il dito contro Putin come mandante, ma adesso lui squaderna nomi e movimenti della squadra di sicari legati al servizio segreto russo Fsb che ha cercato di ucciderlo.

Gente che dal 2017, quando aveva osato annunciare di voler sfidare Putin alle presidenziali dell'anno dopo, lo seguiva ovunque. Per l'esattezza, in almeno 30 diverse destinazioni, come risulta dai dati ottenuti da agenti corrotti e che documentano la continua sovrapposizione con i suoi dei voli su cui viaggiavano le barbe finte che lo pedinavano, oltre alle loro più che sospette telefonate. Fino a quel volo dello scorso agosto per Novosibirsk dove tre personaggi di nome Panayev, Frolov e Spiridonov lo hanno seguito, viaggiando insieme, nella città siberiana che era la prima tappa di un suo tour elettorale assai sgradito al Cremlino.

Quei tre signori avevano già prenotato un volo di ritorno a Mosca proprio da Tomsk, l'altra città siberiana dove Navalny aveva tenuto un comizio. La partenza era fissata proprio per il 21 agosto, la data successiva all'avvelenamento, ma tutti e tre cambiarono la prenotazione. «Qualcosa era andato storto», ironizza Navalny sul suo blog: lui non era morto, il lavoro doveva proseguire. Com'è noto, l'uomo politico si salvò solo perché il pilota dell'aereo ottenne un atterraggio di emergenza a Omsk nonostante «strani» tentativi di impedirlo. Navalny è vivo solo perché sull'ambulanza un medico gli iniettò dell'atropina.

L'inchiesta condotta da Bellingcat fa i nomi di otto membri della squadra della morte, tutti uomini della famigerata «fabbrica dei veleni» dell'ex Kgb, e documenta la loro supervisione da parte di un certo Makshakov, già ricercatore del laboratorio sovietico Shikhany-1 dove si produceva il novichok. Il Cremlino ha sempre negato tutto, ma sull'attentato a Navalny non è mai stata aperta un'indagine e Putin sbeffeggia l'avversario accusandolo di essersi avvelenato da solo.

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