Nella prigione di lusso degli undici principi sauditi

I detenuti miliardari nel Ritz Hotel a 5 stelle di Riad Bloccate le prenotazioni: «L'albergo è tutto esaurito...»

Nella prigione di lusso  degli undici principi sauditi

Saranno anche galeotti o parenti serpenti da schiacciare per garantirsi una tranquilla successione, ma pur sempre principi ed ex ministri restano. E dunque se noblesse oblige la prigione deve per forza essere a cinque stelle. E che stelle. Le cinque stelle di quel Ritz Carlton Hotel di Riad dalle cui stanze son passati Barack Obama e Donald Trump. Stanze trasformate da sabato in comode celle in cui rinchiudere rivali e avversari fatti arrestare con l'accusa di «corruzione» dal principe ereditario Mohammad Bin Salman. Quanti sono? Nessuno lo sa.

Sabato i comunicati parlavano di qualche dozzina di arresti tra cui il famoso miliardario Alwaleed Bin Talal e altri 10 principi. Ieri fonti non ufficiali riferivano di almeno cinquecento detenuti. Le colpe, se si misurano con il luogo di detenzione, non devono esser troppo gravi. L'hotel, uno dei più prestigiosi del mondo, s'affaccia su 21mila metri quadrati di palmeti e conta saloni attrezzati per banchetti da 1500 ospiti. Ma per ora di feste o arrivi di viaggiatori e uomini d'affari non se ne parla. «A causa di circostanze imprevedibili le linee telefoniche e quelle internet sono disconnesse fino a nuove comunicazioni» avvertiva lunedì il sito internet del Ritz Carlton. Ieri l'avviso era scomparso, ma qualsiasi tentativo di prenotazione era seguito dal consiglio di rivolgersi ad altri due hotel a causa di un momentaneo, ma prolungato «tutto esaurito». Lo spazio e il tempo per moltiplicare a piacimento gli ospiti della prigione dorata non mancano. E neppure i candidati. I discendenti di re Ibn Saud, fondatore della dinastia sono circa 15mila anche se potere e ricchezze sono nelle mani di 2000 fra principi e parenti. La maggior parte di quei 2mila consanguinei non fa mistero di detestare Re Salman e il suo figlioccio colpevoli di aver infranto, pur di garantirsi il passaggio della corona di padre in figlio, tutte le complesse regole sulla successione seguite fin qui dai discendenti di Ibn Saud. E a preoccupare ancor di più sono le «riforme» promesse dall'erede. «Riforme» decise ufficialmente per metter fine agli arbitri di centinaia di principi liberi, fin qui, d'intascarsi e godersi parte degli introiti petroliferi. Definirla una lotta alla corruzione è però quantomeno esagerato. Nato e cresciuto in quella stessa famiglia reale Bin Salman è soltanto un rampollo più ambizioso degli altri deciso ad imporre un controllo assoluto su potere e tesori del regno. Un rampollo mossosi fin qui con estrema accortezza. Dopo aver fatto fuori a giugno il cugino Mohammed bin Nayef, l'ex ministro degli interni ed erede al trono sabato è riuscito a far destituire ed arrestare anche il principe Mitaib bin Abdullah sottraendogli il controllo della Guardia Nazionale. Formata da membri delle tribù fedeli ai Saud la Guardia resta il principale strumento per impedire o guidare un colpo di stato. Ma la battaglia di Bin Salman è lontana dall'esser vinta. Sul fronte estero le sue avventure militari vanno tutt'altro che bene. Il conflitto siriano tenuto vivo con i miliardi di dollari in armamenti forniti ai gruppi jihadisti si è conclusa con una sonora sconfitta.

La guerra ai ribelli Huti appoggiati dall'Iran nello Yemen non registra successi.

Con il tempo insomma le sontuose entrate del Ritz Carlton potrebbero trasformarsi in insidiose porte girevoli ed accogliere anche l'ambizioso quanto detestato principe ereditario.

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