Se il riciclo diventa una festa. Un piccolo-grande mercato, nel quale gli errori del passato divengono moneta di scambio. Si chiama «Swap Party», il fenomeno che, dai grandi palazzi e le strade di Manhattan, è volato fin qui, nelle case del Belpaese che amano riciclare. Di un riciclo nobile e ponderatissimo, però: perché i baratti della merce che intendiamo scambiarci si svolgono solo tra articoli dello stesso valore economico.
Si è svolto lo scorso anno a Rimini, lo «Swap Party» più imponente e innovativo, ma la tendenza prende piede dalla cima al tacco della penisola, tra social network, armadi di casa sventrati e setacciati alla ricerca dei pezzi giusti, igienizzazione di quelli scelti, organizzazione dell'evento. Che diventa una festa, appunto, a tutti gli effetti. Sono centinaia le comunità e gli eventi che prendono, su Facebook, il nome occasionale di «Swap Party», la maggior parte dei quali sotto la voce «Abbigliamento», ma non solo. Una piccola comunità di Cagliari mette in vetrina accessori vintage, mentre una pagina gestita da Esperia promuove diversi appuntamenti, così come a Brescia, a Monza, a Monterotondo. È il baratto, ossia la forma di commercio senza portafogli, ai tempi del Net. Ci insegnarono a scuola che lo «swap», ovvero le permute, gli scambi di oggetti, furono le primissime forme di commercio attuate dall'uomo: in origine era uno scambio tra nemici. L'esatto opposto, insomma, di quello che succede oggi, tra le finestre scorrevoli e cristalline dei social, nei quali lo «swap» diventa un raduno, un'occasione di osmosi e di relax ben al di là del riciclo. Il vivaio dei collezionisti, degli amanti del vinile, di cimeli inutilizzati che, oggi, hanno un valore simbolico ed economico tutto nuovo e grazie ai quali intascheremo un articolo altrettanto stimato: anche se, con quella categoria commerciale, non ha nulla a che vedere. Ma come si fa lo «Swap Party»? I vademecum su internet consigliano almeno dieci mosse. Anzitutto, scegliere luogo e orario, fidelizzando il più possibile la comunità. Poi, orientarsi sul'oggettistica o abbigliamento da riciclare, strigliando e inamidando ciò che andrà consegnato ai nostri ospiti come nuovo. Disporre delle bancarelle: suddividere per taglie e colori, dimensioni e materiali, rendere elegante e funzionale quanto stiamo presentando. Consigliabile anche una zona camerini, separata dall'ambiente con una tenda, un lenzuolo, o bambù. Intanto, mentre diventano disponibili anche le prime applicazioni da cellulare destinate al baratto, può già capitarci di inciampare nello «swaplifting». Ovvero un baratto che non viene poi portato a termine, allo scopo di intascare un prodotto senza nulla perdere: neanche quell'oggetto in disuso che ci era stato promesso. Ma internet ha già provveduto a istituire dei piccoli, veri e propri «arbitrati», servizi di neutralità offerti dai più grandi siti del baratto internazionale. Forum e portali che bandiscono delle liste nere, o cancellano i fautori di queste frodi dalle loro file. Piccole celebrazioni del riuso, orlate di musica e banchetti, le feste dello «swap» sono promosse da veri e propri club: ce n'è uno in Italia (e varie sottocategorie in alcuni capoluoghi), uno a Londra, uno a Shangaii, e moltissimi sparsi per i quattro continenti. Se organizzato via Facebook, il party prevede addirittura che ciascuno dei partecipanti, alla volta dell'appartamento o giardino deputato alla festa, porti cibi e bevande. E naturalmente, impazza l'alimentazione del commercio equo e solidale, il «bio», il banchetto saluberrimo che, in ambito di riciclo creativo, appare in perfetta nuance.
Un altro modo di vivere il cambio di stagione: da incubo a occasione di reimpiego, da appuntamento procrastinato tutto l'anno a evento atteso e fuori dagli schemi: i vecchi jeans sottobraccio, e l'unica forma di shopping a costo zero.
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