Il mosaico di dichiarazioni, smentite, ammissioni e accuse compone un quadro in cui Mosca vuole apparire ferma, impermeabile alle pressioni e del tutto refrattaria all'idea di concedere qualcosa. E la smentita sul caso Witkoff rientra perfettamente in questa narrativa: nessun coordinamento segreto, nessuna resa, nessun passo indietro. In una giornata segnata da smentite incrociate e nuove scintille diplomatiche, il Cremlino respinge con fermezza qualsiasi ipotesi di un ammorbidimento sulla guerra in Ucraina. Anzi, lascia intendere che il presunto asse Kiev-Washington scricchioli più del previsto. A innescare il contraccolpo è l'ennesima interferenza americana: Donald Trump suggerisce che Mosca starebbe "facendo concessioni", mentre filtrano, e vengono subito negate, nuove indiscrezioni sulla telefonata tra l'inviato statunitense Steve Witkoff e il consigliere presidenziale Yuri Ushakov. È l'affaire Witkoff, più di tutto, a gettare benzina sul fuoco.
A chiudere ogni spiraglio è il vice ministro degli Esteri Sergei Ryabkov: "Non ci possono essere concessioni né rinunce sulle questioni chiave dell'operazione militare speciale". Un colpo di porta sbattuta, seguito dall'accusa agli Stati Uniti di continuare ad armare Kiev e di ostacolare ogni tentativo di normalizzazione. Dal canto suo il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, difende Witkoff dalle richieste di licenziamento piovute dopo le fughe di notizie, definendole "un tentativo di sabotare il processo di pace". Ma allo stesso tempo ridimensiona qualsiasi idea di accordo imminente, pur riconoscendo che i canali con Washington restano aperti, fragili, ma attivi.
Ed è proprio Ushakov ad aggiungere un tassello significativo: conferma che ad Abu Dhabi si è tenuto un incontro tra i servizi segreti russi e ucraini, centrato soprattutto sullo scambio di prigionieri. Un colloquio definito "delicato", durante il quale il segretario statunitense Driscoll sarebbe comparso "all'improvviso", incontrando le due delegazioni separatamente. Nessuna discussione, tuttavia, sul piano di pace americano, anche se Mosca ha ricevuto le ultime versioni del documento. Lo stesso Ushakov replica con un "Ci piacerebbe", riguardo la possibilità che il conflitto finisca entro il 2025 come auspicato dal segretario generale della Nato Mark Rutte.
Poi, il nodo più sensibile della giornata: le rivelazioni di Bloomberg sulla telefonata del 14 ottobre, quella in cui Witkoff avrebbe suggerito al Cremlino di coordinarsi con il team di Trump per costruire un cessate il fuoco da presentare alla Casa Bianca. Ushakov respinge tutto senza esitare. Sorvola sulla veridicità della conversazione: "Parliamo spesso", si limita a dire, e rifiuta ogni commento sul contenuto dei loro colloqui. Le indiscrezioni, osserva, "non aiutano certo a rafforzare le relazioni". Ma non nega il punto più politico: Witkoff è atteso a Mosca. "Abbiamo raggiunto un'intesa preliminare. La visita dovrebbe tenersi la prossima settimana". E insieme a lui arriveranno anche funzionari dell'amministrazione Trump coinvolti nel dossier ucraino.
Sul fronte interno, intanto, il Cremlino manda un segnale opposto a qualsiasi idea di distensione: un nuovo decreto presidenziale stabilisce che entro il 2036 il 95% della popolazione residente nei territori annessi dopo il 2022 dovrà "identificarsi come russa".
Una strategia culturale e identitaria che mira a consolidare l'integrazione, e l'annessione, delle regioni occupate. Di tutto questo, e dello stato della guerra, Putin ha discusso ieri con l'alleato bielorusso Lukashenko, durante un summit a Bishkek, in Kyrgyzstan.