Non siamo un popolo visto con ammirazione da altri popoli di altre nazioni.
Individualisti, furbi, un po' imbroglioni non ci viene riconosciuto un senso di appartenenza collettivo. Ci arrangiamo, ognuno per conto suo. Non si tratta di un atteggiamento ma di un sentimento che fa prevalere il particolare sull'universale, che fa passare sempre in secondo piano gli interessi generali, cioè quelli che cementano l'identità nazionale. Dunque, non un anarchismo distruttivo e autolesionista, ma un individualismo che con la parola d'ordine «chi fa per sé fa per tre» ha raggiunto buoni risultati in campo economico e sociale. Poi, ovviamente, a questa parola d'ordine si può aggiungere tutto un campionario di furbizie e cialtronerie che finiscono per offuscare le qualità dell'individualismo, trasformandolo in un modesto e tracotante opportunismo, che è ciò che più di noi appare e più viene dagli altri criticato. Succede qualcosa, come questo terribile terremoto che ha devastato il centro Italia; allora si scopre all'improvviso un bellissimo sentimento di solidarietà nazionale. Le persone fanno la fila negli ospedali per donare il sangue; molti sono coloro che intendono prestare volontariamente il loro soccorso agli ammalati; ci saranno numeri verdi per poter segnalare, in base alle proprie competenze, la disponibilità a intervenire laddove le istituzioni pubbliche sono più in difficoltà; si faranno collette per radio e televisione al fine di raccogliere fondi per aiutare le popolazioni terremotate. Un'Italia con due volti, quello dell'opportunismo e quello della solidarietà collettiva. Ma non c'è da stupirsi: come i comportamenti individualistici appartengono al nostro popolo, altrettanto quelli solidaristici trovano occasioni drammatiche per manifestarsi. Forse solo apparentemente due volti: sembra quasi che quello convenzionale, consueto, decida di diventare anche qualcosa di diverso. Insomma, siamo individualisti quando sappiamo di poter fare per conto nostro, ma siamo anche consapevoli che in determinate circostanze bisogna essere uniti, solidali per superare la crisi.
Questa presa di coscienza che dà esempi di grande generosità collettiva è ormai consolidata nel tempo, messa alla prova dalle sciagure che ci cadono in testa. Ricordo l'alluvione di Firenze del 1966: in quanti giovani studenti si partì per salvare dal fango i libri delle biblioteche, le opere d'arte dei musei, per aiutare gli sfollati a sopravvivere senza le loro case distrutte. Esempi che in seguito si sono ripetuti con altre alluvioni e con altri terremoti: senza bisogno di appelli generali da parte delle istituzioni. Senza retorica, si mette da parte ogni individualismo che preferisce fare da sé perché così fa per tre, e questa volta si capisce che è giusto e doveroso mettersi insieme per aiutare. Il popolo italiano solidarizza con i drammi del popolo italiano, non con le sue istituzioni, con le quali spesso in simili circostanze entra in conflitto. Chi, dall'esterno, ci giudica gente furba, cialtrona, egoista si sorprende nel vedere slanci di generosità tanto spontanei e veri da parte nostra, e non capisce che il nostro individualismo è soltanto una prassi quotidiana che ci semplifica la vita. Poi, nei momenti di difficoltà, senza tanta retorica inneggiante all'amore universale, sappiamo metterci insieme perché sappiamo che è così che si deve fare.
Non è affatto questa parte di noi, quella solidaristica e collettiva, la cosa migliore di noi: è semplicemente una parte che quel tanto deprecato individualismo, biasimato da chi crede di conoscerci, sa esprimere senza tanta enfasi.
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