Una storia diversa dalle altre. Con lo stesso comun denominatore: Banca Etruria. Non c'entrano i risparmiatori beffati dalle obbligazioni, ma un imprenditore di Arezzo che per colpa della Popolare aretina oggi si ritrova senza azienda e senza casa. La stessa banca che accumula due miliardi di euro di sofferenze (mai rientrate) per finanziamenti concessi agli amici, e che se la prende però con le piccole imprese. Questa odissea parte nel 2008, a prova che i raggiri della banca non iniziano con le obbligazioni truffa, ma molto prima.
Daniele Antoni, dal 1993 ha un'azienda informatica di hardware e software la D.A. Distribuzione con ottimi fatturati. Nel 1999 Antoni e la moglie Elsa Misuri, acquistano un appartamento e chiedono a Banca Etruria un mutuo da 120mila euro, a rate semestrali. Con la crisi, nell'agosto 2008, Antoni chiede alla banca un finanziamento da 200mila euro accettando di ipotecare di nuovo la casa dove c'è un residuo di 28mila euro. «Per entrambi i finanziamenti - spiega la signora Misuri - oltre ad essere in regola, eravamo in solido con i pagamenti». L'azienda rientra nei fidi e le rate pagate regolarmente. «Ma, dopo appena 9 mesi, il 30 maggio 2009, Banca Etruria ci invia due raccomandate dove ci dà un giorno per il rientro immediato dei due finanziamenti per decadenza del beneficio del termine per una presunta rata scaduta: un totale da 223mila euro. Noi però eravamo certi di aver sempre pagato tutto, avevamo le ricevute».
La banca chiude tutti i conti degli Antoni e l'azienda fallisce nel 2010. La direzione della filiale 9 di Arezzo non vuol sentire spiegazioni («tutto e subito») e in ottobre 2009 parte il primo «precetto» non rispettando neppure i termini di legge. Da qui il pignoramento della casa e l'inizio del calvario giudiziario che dura da sette anni. Antoni denuncia Banca Etruria per truffa, estorsione ed usura. Da alcune verifiche scopre che il pagamento di una rata è stato omesso. «Abbiamo la ricevuta di quel pagamento - dice Elsa Misuri - 1.524 euro. Nessuno vuol dirci dove sono finiti quei soldi». L'appartamento va all'asta e venduto per 109mila euro, la metà del suo valore. A giugno gli Antoni devono lasciarlo e saranno in mezzo a una strada, senza lavoro. Tutto per una rata.La banca non si è mai sognata però di far rientrare le aziende amiche (tutte fallite), fuori per milioni di euro regalati senza garanzie.
Come i 10 milioni alla Saico Refinish (forni industriali) di Stefano Agresti, lo zio del ministro Maria Elena Boschi, o i 30 milioni alla Del Tongo Industrie (cucine) di Laura Del Tongo, ex vicepresidente di Banca Etruria, o i 3,1 milioni alla Hi Facing (fotovoltaico) di Natalino Giorgio Guerrini, anche lui ex vice della banca, o i 10 milioni al gruppo immobiliare Isoldi di Forlì.
Idem per il gruppo Caltagirone (immobiliare) che accumula 45 milioni di crediti deteriorati, o il gruppo Angelini (sanità) che ha provocato una voragine da 25,5 milioni, o la Sacci (cemento) fuori per 60 milioni, o la romana Sogeim (immobiliare) per 23 milioni, o la famiglia Zucchi, 24,5 milioni. Ma gli amici non si toccano. I soldi vanno presi ai deboli. È la legge dell'Etruria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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