"Noi, sentinelle per proteggerci dagli stranieri"

Nel quartiere Aurelio i cittadini si mobilitano contro il rischio di furti e aggressioni

"Noi, sentinelle per proteggerci dagli stranieri"

Roma - «I profughi li hanno portati di notte, senza nemmeno avvisarci - si lamenta una signora mentre indossa un fratino catarifrangente - ci siamo accorti della loro presenza solo dopo qualche giorno, vedendoli andare in giro per il quartiere».

A largo Perassi, nel quartiere Aurelio, a Roma, l'hotel «Il Gelsomino» è stato trasformato in un centro di accoglienza, dove, la scorsa settimana, il comune ha trasferito 250 richiedenti asilo. Ma già dopo pochi giorni, sono iniziati i problemi. Mercoledì gli ospiti del centro hanno inscenato una manifestazione per chiedere alla cooperativa che li ospita soldi contanti al posto dei buoni pasto, tentando di bloccare via Aurelia. «In un quartiere senza servizi, martoriato dal degrado e dalla prostituzione, hanno deciso di aprire un centro di accoglienza con trecento giovani nordafricani, con tutti i problemi che ne conseguono per i cittadini» ci dice Daniele, una delle «sentinelle civiche» che la sera, assieme ad una ventina di altri residenti, scende in strada per pattugliare le vie della zona. Da quando sono arrivati i profughi, infatti, si lamentano gli abitanti, il quartiere è meno sicuro.

«Abbiamo deciso di organizzare queste passeggiate perché, anche se ancora non è successo niente di grave, come si dice, prevenire è sempre meglio che curare», ci spiega uno dei residenti, mentre iniziamo a seguirli per le vie buie del quartiere. Poco distante da qui, infatti, a Monteverde, il mese scorso una signora è stata derubata e massacrata di botte da un cittadino senegalese, ospite della tendopoli allestita per i rifugiati dalla Croce Rossa, in via Ramazzini.

«Qui alle sei c'è il coprifuoco», si lamenta una signora, mentre continuiamo a camminare. Gli ospiti del centro di accoglienza li incontriamo subito.

«L'altro giorno abbiamo protestato perché ci servono soldi per comprarci vestiti, sigarette ed altre cose di cui abbiamo bisogno», ci dice un ragazzo del Gambia, mostrandoci le scarpe con la suola sfondata. È seduto su una panchina davanti ad un supermercato, assieme ad altri ragazzi. «Veniamo qui perché c'è il wi-fi», ci spiega mentre, pochi metri più in là, un paio di prostitute iniziano ad accalappiarsi i primi clienti della serata. Nel centro di accoglienza non ci sono controlli e la sera i ragazzi possono passeggiare liberamente per le vie del quartiere. Lì nel centro non facciamo niente tutto il giorno, mangiamo e basta, non studiamo nemmeno l'italiano», si lamenta un altro giovane gambiano che incontriamo poco più avanti. Proseguiamo la nostra passeggiata con le «sentinelle civiche», facendo lo slalom tra i rifiuti e le bottiglie vuote abbandonate ai lati della strada. Davanti al ristorante di una nota catena di fast food, un'altra prostituta, praticamente semi-nuda, cammina avanti e indietro. Ad avere paura qui, sono soprattutto le donne.

«Magari non succede nulla, ma di certo ora non esco da sola, di sera, con i bambini», racconta una ragazza che abita su via Aurelia, poco lontano dal centro di accoglienza. Sono molte le donne scese in strada per chiedere più sicurezza.

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