"Non fu deportata nel lager". Le tolgono il vitalizio

Laura, 80 anni, ebrea, fu vittima delle leggi razziali e costretta con la famiglia a lasciare Venezia

"Non fu deportata nel lager". Le tolgono il vitalizio

Leggi razziali (spettro del passato) e follie burocratiche (scheletro del presente): due fantasmi che nel nostro Paese rievocano paure diverse e non paragonabili, ma che - quando si incrociano - sortiscono effetti paradossali. E così in Italia - dove un vitalizio non si nega a nessuno - si finisce col fare i duri solo con chi in tempi di guerra è stato vittima di persecuzione, perché «reo» di appartenere a un popolo o a una religione «sbagliata».

Fatto sta che, in questa delicatissima materia, la magistratura contabile in alcuni casi riconosce la legittimità dei vitalizi, in altri li disconosce, in altri ancora dispone addirittura la restituzione degli «emolumenti ingiustamente percepiti».

Il quotidiano il Gazzettino ieri riportava in prima pagina la storia della «signora Laura», veneta, 80 anni; il titolo: «Perseguitata ma non troppo, tolto il vitalizio ad anziana ebrea». Per i giudici d'appello della Corte dei Conti (che, con colpevole disinvoltura, hanno usato l'espressione «razza ebraica» in luogo della corretta formula «religione ebraica ndr), Laura non ha più diritto al vitalizio, anzi, dovrà restituire quanto percepito negli ultimi 10 anni.

Motivo? «La ricorrente non fu sottoposta ad atti limitativi della libertà personale come lager, carcere o confino», hanno motivato i giudici amministrativi. Laura, in effetti, aveva solo pochi mesi quando, dopo la promulgazioni delle leggi razziali, la sua famiglia fu costretta a lasciare Venezia.

Una deportazione che segnò la vita di Laura, la quale - in forza dei tanti problemi affrontati nel corso della sua esistenza proprio a causa dell'originaria discriminazione razziale - ottenne dallo Stato un minimo risarcimento sotto forma di vitalizio: l' assegno mensile che ora lo Stato rivuole indietro, con tanto di arretrati. Amarezza che rende ancora più nero il ricordo di quel tragico 1938, quando il papà di Laura perse il lavoro e fu costretto con i suoi cari ad abbandonare la loro città, Venezia, cui fecero ritorno dopo mille vicissitudini solo a guerra finita, nel '45.

Ma alla voce «risarcimenti per discriminazioni razziali in tempi di guerra», si scopre che su tale fronte la giurisprudenza della Corte dei Conti risulta assolutamente schizofrenica. Basti pensare che qualche anno fa la Corte dei Conti di Livorno riconobbe la piena legittimità addirittura alla reversibilità del vitalizio di una ex deportata. Morta la donna, l'«assegno di benemerenza» passò prima alla figlia e poi, deceduta anch'essa, addirittura al nipote.

In quella occasione i giudici spiegarono: «Lo Stato può risarcire il male inflitto a questa

famiglia in un unico modo, con un vitalizio di cui hanno diritto anche gli eredi non coinvolti negli episodi di discriminazione razziale sofferti dalla loro parente scomparsa».

Qualcuno ora provi a spiegarlo alla signora Laura.

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