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Nord Irlanda, il rebus sul futuro e la pace. Gli unionisti non vogliono perdere il potere

L'intesa toglie al Dup il diritto di veto sui destini della regione: ecco le ragioni del no

Nord Irlanda, il rebus sul futuro e la pace. Gli unionisti non vogliono perdere il potere

Londra - Si torna quindi a guardare agli umori del Dup, il Democratic Unionist Party. Ancora una volta, come durante i falliti tentativi di Theresa May di avere una maggioranza in Parlamento, il destino dell'accordo raggiunto ieri tra il governo inglese e l'Ue dipende in gran parte dai dieci parlamentari nordirlandesi che siedono a Westminster.

La critica principale che il partito guidato dalla combattiva Arlene Foster (nella foto) muove alla nuova bozza d'accordo riguarda il meccanismo elettorale per sottoporre periodicamente il nuovo status dell'Irlanda del Nord al voto dei membri dell'Assemblea, il parlamento di Belfast. Ogni 4 anni, recita il nuovo testo licenziato ieri a Bruxelles, il nuovo status delle 18 circoscrizioni attorno a Belfast dovrà essere confermato dal Parlamento nordirlandese, almeno a maggioranza semplice. È quest'ultima la condizione indigesta al Dup il quale sottolinea come sia non conforme agli Accordi di pace del 1998 che hanno messo fine alla guerra civile tra repubblicani e unionisti: in questi si parla di «supporto inter comunitario» per tutte le «decisioni chiave» che interessano la regione, elencando alcuni esempi in cui ovviamente non compare la Brexit. Il supporto inter comunitario si raggiunge se sia unionisti che repubblicani votano a favore della decisione (oppure non meno del 40% nel caso ci sia almeno il 60% dell'Assemblea a favore). Se la bozza di accordo sia in linea con gli Accordi di pace del '98 lo stabilirà la politica ed è questione fondamentale per il ruolo del Dup nello scacchiere politico nordirlandese. Con la maggioranza semplice prevista nel testo di ieri il Dup perderebbe il suo potere di veto sui destini dell'Irlanda del Nord. Non a caso lo Sinn Fein si è subito espresso ieri a favore del deal definendolo «la meno peggio delle opzioni».

L'Assemblea dell'Irlanda del Nord non sta funzionando da circa 2 anni e mezzo, bloccata da veti incrociati. Nelle ultime elezioni del 2017 il Dup ha ottenuto 27 seggi sui 40 totali degli unionisti mentre i nazionalisti a loro volta vantano 39 seggi. Se a questi ultimi si sommano i rimanenti 11 seggi assegnati ai partiti minori che si oppongono alla Brexit si ottiene una maggioranza semplice a favore del mantenimento dell'Irlanda del Nord nell'orbita dell'Ue cui il Dup non si può opporre. I risultati elettorali del partito di Foster sono in costante riduzione, gli unionisti sono passati da un consenso di circa il 50% di fine anni '90 a poco meno del 45% delle ultime elezioni nordirlandesi.

La lotta per la Brexit è quindi anche una lotta per la sopravvivenza: il peso della componente cattolica della popolazione sta via via aumentando mentre perde importanza il messaggio unionista, anche sulla scorta della lunga e pacifica convivenza garantita anche dall'ombrello europeo. Il messaggio identitario del Dup può forse essere difficile da cogliere lontano dalle contrade dell'Irlanda del Nord ma è incentrato su un allineamento indissolubile a Londra, l'unico modo, dal loro punto di vista, per salvaguardare l'Unione. Il backstop di Theresa May era inaccettabile perché divideva il Regno Unito, il deal di Johnson lo è perché riduce all'ininfluenza la causa unionista. Sabato, quando Westminster voterà, il Dup non potrà più fare leva sull'essere la stampella di salvataggio della maggioranza, perché quello di Johnson è un governo di minoranza.

Tuttavia, indipendentemente dal risultato, come Johnson anche il Dup si sta posizionando in vista delle prossime elezioni alle quali vuole arrivare con le credenziali giuste agli occhi della sua base elettorale.

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